Cessione d’azienda: per la Cassazione non c’è plusvalenza senza incasso
di Giancarlo Falco
Negli ultimi tempi si è spesso sottolineata l’attenzione dimostrata dai Giudici della Corte di Cassazione ad attenuare la rigidità formale di alcune norme con l’obiettivo di fronteggiare la nota situazione di crisi di liquidità delle imprese.
Caso tipico, quello del reato di omesso versamento IVA: anche all’interno di questo quotidiano si sono più volte commentate le diverse sentenze della Corte di Cassazione in cui i Giudici spesso hanno “perdonato” il contribuente moroso nei casi in cui ha dimostrato l’impossibilità oggettiva a far fronte alle proprie obbligazioni. A titolo di esempio si ricorda la Sentenza n. 27676 del 08.04.2014 in cui la Corte accoglie il ricorso di un imprenditore che aveva basato la propria difesa sulla mancanza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo specifico.
In questo contesto si inserisce un’interessantissima e, per certi versi, davvero innovativa Ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 5876 del 13 marzo 2014 che, di fatto, apre la questione della crisi di liquidità anche con riferimento alla cessione d’azienda affermando che non emerge alcuna plusvalenza imponibile in capo al cedente laddove non sia stato incassato il relativo corrispettivo.
Nel caso di specie già la commissione Tributaria del Lazio aveva accolto il ricorso del cedente con riferimento all’avviso di accertamento relativo ad una plusvalenza da cessione d’azienda osservando che “l’appellante aveva fornito elementi probatori con supporti documentali circa la mancata ricezione del prezzo e la risoluzione della compravendita”.
Avverso tale decisione aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate sostenendo che “le sorti della cessione non potevano avere alcun rilievo circa la validità del contratto ai fini fiscali, né potevano incidere sulla plusvalenza”.
Quanto sostenuto dall’Agenzia, ad onor del vero, è quanto previsto dall’art. 86 del Tuir che prevede espressamente che la plusvalenza derivante da una cessione onerosa d’azienda sia determinata in base alla differenza tra il prezzo realizzato, al netto degli oneri accessori, e l’ultimo costo non ammortizzato. L’importo così determinato concorre alla formazione del reddito d’impresa in base al principio della competenza economica.
Inoltre, tale corrispettivo si considera conseguito alla data di stipulazione dell’atto per le aziende o, se diversa o successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale (art. 109, comma 2, del Tuir).
Infine, se il pagamento del corrispettivo viene pattuito con modalità rateali, ciò non influisce sul calcolo della plusvalenza; bisogna, infatti, tener conto della totalità del corrispettivo così come si desume dal contratto.
Chiarissima sul punto era stata anche la Corte di Cassazione con la Sentenza del 23.02.2011, n. 4365 in cui aveva si leggeva che: “In tema di imposte sui redditi, la plusvalenza fiscalmente rilevante collegata alla cessione di un’azienda si realizza al momento della conclusione del contratto, mentre non hanno rilievo alcuno le vicende successive relative all’adempimento degli obblighi contrattuali, quali l’omessa percezione del prezzo o la sua eventuale rateizzazione, o l’estinzione dell’obbligazione per effetto di una transazione di carattere novativo, successivamente intervenuta”.
Orbene, dinanzi ad un quadro così ben delineato, la Corte di Cassazione nell’Ordinanza n. 5876 del 13 marzo 2014 ha osservato che “la cedente in realtà non aveva realizzato alcunché, dal momento che non aveva incassato l’importo della cessione, con la conseguenza, perciò, che alcuna plusvalenza poteva essersi determinata”.
L’ordinanza della Corte di Cassazione, dunque, si inserisce nel filone giurisprudenziale sensibile agli effetti della crisi economica, in cui i Giudici dimostrano una maggiore sensibilità all’analisi del caso concreto piuttosto che all’applicazione formale delle norme.
Tuttavia è doveroso sottolineare che l’ordinanza della Cassazione, riferita al caso di una cessione d’azienda, è al momento una pronuncia del tutto isolata, rispetto alle pronunce riferite al caso di omesso versamento IVA in cui, invece, si assiste già da tempo ad una tendenza altalenante sul tema da parte dei Supremi giudici.