L’introduzione di beni in Italia per perizie o lavorazioni
di Marco PeiroloLa Corte di giustizia, con la sentenza resa nelle cause riunite C-606/122 e C-607/12 del 6 marzo 2014, ha affermato che, senza rispedizione dei beni al committente, al termine della perizia o della lavorazione, nello stesso Stato membro di provenienza dei medesimi, non si applica il regime sospensivo previsto dall’art. 17, par. 2, lett. f), della Direttiva n. 2006/112/CE e, quindi, il trasferimento intracomunitario originario dei beni deve essere assoggettato a IVA nello Stato membro in cui è eseguita la perizia o la lavorazione, ai sensi dell’art. 21 della Direttiva n. 2006/112/CE.
La pronuncia dei giudici comunitari ha messo in luce l’illegittimità della normativa italiana, la quale – prima delle modifiche introdotte dall’art. 13 della L. n. 115/2015 (Legge europea 2014) – non prevedeva la condizione della rispedizione dei beni al committente nello Stato membro di provenienza. Infatti, l’art. 38, comma 5, lett. a), del D.L. n. 331/1993 escludeva dagli acquisti intracomunitari i trasferimenti in Italia, a scopo di perizia o di lavorazione, di beni successivamente inviati in altro Stato membro o in un Paese extra-UE e l’art. 41, comma 3, del D.L. n. 331/1993 stabiliva genericamente che non dà luogo ad una cessione intracomunitaria l’invio di beni in altro Stato membro per essere sottoposti a perizia o a lavorazione, indipendentemente dalla destinazione dei beni al termine delle prestazioni.
Il legislatore nazionale ha posto rimedio alla difformità, evidenziata dalla Corte di giustizia, della normativa interna rispetto a quella europea, evitando l’apertura di una procedura formale di infrazione da parte della Commissione europea.
Con il citato art. 13 della L. n. 115/2015, sono stati riformulati gli artt. 38, comma 5, lett. a), e 41, comma 3, del D.L. n. 331/1993. In particolare, è stato previsto che non costituisce acquisto intracomunitario, imponibile in Italia, l’introduzione nel territorio dello Stato di beni oggetto di perizie o di operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali, se i beni sono successivamente trasportati/spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nello Stato membro di provenienza e, allo stesso modo, che non costituisce cessione intracomunitaria, non imponibile in Italia, l’invio nel territorio di altro Stato membro di beni oggetto di perizie o di operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali, se i beni sono successivamente trasportati/spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nel territorio dello Stato.
La circolare Assonime n. 2 del 29 gennaio 2016 ha illustrato la disciplina dei trasferimenti intracomunitari di beni per perizie o lavorazioni a seguito dell’intervenuta modifica da parte del legislatore italiano, ritenendola applicabile dal 1° gennaio 2016. Posto che la L. n. 115/2015 non prevede una specifica decorrenza, trova applicazione il principio contenuto nell’art. 3, comma 1, della L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente), in base al quale, per i tributi periodici – qual è l’IVA – “le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”. Trattandosi, infatti, di modifiche che incidono sulla qualificazione sostanziale delle operazioni – e non, quindi, di mere modifiche procedurali – le novità introdotte dall’art. 13 della L. n. 115/2015 si applicano con riferimento alle operazioni effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2016, ma – sul punto – sarebbe comunque auspicabile una conferma da parte dell’Agenzia delle Entrate.
L’Associazione ha anche esaminato gli effetti delle modifiche sull’invio dei beni dall’Italia in altro Stato membro per perizie o lavorazioni e l’introduzione di beni in Italia per perizie o lavorazioni.
A quest’ultimo riguardo, è stato messo in luce che il trasferimento di beni provenienti da altro Stato membro può avere un diverso trattamento impositivo a seconda della destinazione dei beni al termine della prestazione.
In particolare, nel caso in cui i beni – al termine della perizia o della lavorazione – siano restituiti al committente nello Stato membro di provenienza, si applica il regime sospensivo previsto dall’art. 38, comma 5, lett. a), del D.L. n. 331/1993, per cui l’introduzione dei beni in Italia non dà luogo – per il soggetto comunitario – ad un acquisto intracomunitario.
Nel caso, invece, in cui i beni siano inviati in uno Stato membro diverso da quello di provenienza oppure in uno Stato extra-UE, l’introduzione dei beni in Italia costituisce, per il soggetto comunitario, un acquisto intracomunitario effettuato nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n. 331/1993, che impone allo stesso soggetto comunitario l’identificazione ai fini IVA in Italia direttamente (ex art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972) o per mezzo di un rappresentante fiscale.
Per l’assoggettamento ad imposta dell’acquisto intracomunitario, il numero di partita IVA italiano del soggetto comunitario deve annotare l’operazione nel registri IVA, nonché rilevare i beni oggetto di perizia o di lavorazione nel registro di carico e scarico di cui all’art. 50, comma 5, del D.L. n. 331/1993. La base imponibile dell’acquisto intracomunitario è costituita dal prezzo di acquisto o dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento di effettuazione dell’operazione (art. 43, comma 4, del D.L. n. 331/1993) e l’acquisto intracomunitario deve essere dichiarato nel modello INTRA 2-bis.
Successivamente alla perizia o alla lavorazione, l’invio dei beni in altro Stato membro o in uno Stato extra-UE dà luogo, rispettivamente, ad una cessione intracomunitaria, non imponibile ai sensi dell’art. 41 del D.L. n. 331/1993, o ad una cessione all’esportazione, non imponibile ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972. Trattandosi, in entrambi i casi, di cessioni territorialmente rilevanti in Italia ex art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, è la posizione IVA italiana del soggetto comunitario che deve osservare i relativi obblighi IVA.
Infine, nel caso in cui i beni, al termine della prestazione, siano ceduti ad un soggetto nazionale, la condizione sospensiva prevista dall’art. 38, comma 5, lett. a), del D.L. n. 331/1993 non risulta soddisfatta e, quindi, analogamente alla situazione esaminata in precedenza, il soggetto comunitario deve identificarsi ai fini IVA in Italia per adempiere gli obblighi relativi all’acquisto intracomunitario effettuato ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n. 331/1993. In applicazione dell’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, la cessione dei beni oggetto di perizia o di lavorazione è soggetta a reverse charge e, come chiarito dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 20 febbraio 2015, n. 21, la fattura oggetto di integrazione, con l’IVA, da parte del cessionario italiano è quella emessa direttamente dal soggetto comunitario e non dalla sua posizione IVA nazionale.
Da ultimo, in base all’art. 17, par. 3, della Direttiva n. 2006/112/CE, secondo cui i beni si considerano trasferiti a destinazione nello Stato membro nel momento in cui cessa di essere soddisfatta la condizione che permetteva di qualificare gli invii come meri trasferimenti esclusi da IVA, è possibile ritenere che, se cambia la configurazione inziale dell’operazione (es. i beni, anziché essere rispediti nello Stato membro di provenienza al termine della lavorazione, sono ceduti in Italia o in altro Stato membro o al di fuori della UE), il trasferimento originario in sospensione d’imposta viene a concretizzare ex post un acquisto intracomunitario, la cui imposta deve essere assolta dal soggetto comunitario previa identificazione in Italia.