Regime IVA delle cessioni di beni allo “stato estero”
di Marco PeiroloL’art. 7-bis del D.P.R. n. 633/1972 disciplina, al primo comma, la territorialità delle cessioni di beni mobili materiali, stabilendo – come “basic rule” – che tali operazioni si considerano effettuate nel territorio dello Stato se hanno per oggetto beni mobili nazionali, comunitari o vincolati al regime della temporanea importazione, esistenti nel territorio dello stesso.
Il luogo impositivo è, quindi, individuato in funzione di un duplice parametro, di tipo giuridico e materiale, essendo richiesto che i beni siano in possesso di una determinata posizione doganale e che si trovino “fisicamente” in Italia nel momento di effettuazione della cessione, cioè – ai sensi dell’art. 6, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 – della consegna o spedizione. Questa regola, come recentemente stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza di cui alla causa C-446/13 del 2 ottobre 2014, vale non solo per le cessioni interne e all’esportazione, ma anche per quelle intracomunitarie, che l’art. 39, comma 1, del D.L. n. 331/1993, nel testo riformulato dalla L. n. 228/2012 (Legge di Stabilità 2013), considera effettuate nel momento dell’inizio del trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi o per suo conto.
La Direttiva n. 2006/112/CE definisce il luogo della cessione prescindendo dalla natura (interna, intracomunitaria o all’esportazione) dell’operazione. Le norme di riferimento sono rappresentate dagli artt. 31 e 32 della Direttiva, in base alle quali il luogo impositivo è distinto a seconda che la cessione sia con o senza o trasporto/spedizione: se il bene non viene spedito o trasportato, assume rilevanza il luogo dove il bene si trova al momento della cessione (art. 31); se, invece, il bene è spedito o trasportato dal fornitore, dall’acquirente o da un terzo, rileva il luogo dove il bene si trova al momento iniziale della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente (art. 32).
La normativa comunitaria non dà alcuna rilevanza allo status giuridico del bene, per cui – tra le cessioni di beni allo “stato estero” territorialmente rilevanti – dovrebbero rientrare anche quelle aventi per oggetto beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale, che l’art. 21, comma 6, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 considera non soggette a IVA a norma dell’art. 7-bis, comma 1, cioè per carenza del presupposto territoriale, con obbligo di emissione della fattura con l’annotazione “operazione non soggetta”. La Corte di giustizia, nella sentenza relativa alla causa C-165/11 dell’8 novembre 2012, ha infatti affermato che la posizione doganale della merce non influisce sulla territorialità e sull’imponibilità dell’operazione, tant’è che l’art. 2 della Direttiva n. 2006/112/CE, nel definire l’ambito di applicazione dell’IVA, qualifica le operazioni rilevanti ai fini impositivi indipendentemente dallo status giuridico dei beni oggetto di cessione.
Fermo quindi restando che, dal punto di vista territoriale, le operazioni in esame soddisfano il presupposto impositivo, la Direttiva n. 2006/112/CE prevede che le cessioni di beni allo “stato estero” sono esenti da IVA su facoltà prevista dal legislatore nazionale. L’opzione mira a salvaguardare la neutralità fiscale, essendo preordinata ad assoggettare allo stesso trattamento impositivo i beni extracomunitari, immessi in libera pratica solo a seguito dello svincolo, rispetto a quelli comunitari ab origine (Corte di giustizia, 9 febbraio 2006, causa C-305/03).
Si può, pertanto, ritenere che la normativa nazionale sia in linea con il trattamento IVA concesso, su opzione, agli Stati membri. In pratica, le cessioni di beni allo “stato estero” sono erroneamente qualificate come extraterritoriali, ma il citato art. 21, comma 6, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, nel prevedere che la fattura deve essere emessa con l’annotazione “operazione non soggetta”, implica che lo Stato italiano si sia avvalso della facoltà di esenzione concessa dalla legislazione comunitaria.
Le considerazioni da ultimo esposte si riferiscono alle cessioni di beni in transito e a quelle di beni depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale.
Per le cessioni di beni in temporanea importazione, invece, anch’esse riguardanti merce allo “stato estero”, l’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 ne prevede la rilevanza territoriale. Se, però, i beni in temporanea importazione sono ceduti a soggetti IVA di altri Paesi membri, la cessione non assume natura intracomunitaria non avendo per oggetto beni originari dell’Unione europea o ivi immessi in libera pratica; conseguentemente, la stessa deve essere assoggettata a IVA e l’operatore nazionale, che l’abbia erroneamente considerata come intracomunitaria, dovrà operare le opportune rettifiche, anche in relazione alla costituzione e all’utilizzo del plafond (R.M. 7 settembre 1998, n. 127/E e risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 20 novembre 2001, n. 185).
In sede di dichiarazione IVA annuale, le cessioni di beni in temporanea importazione, vanno indicate, a seconda dell’aliquota IVA, nei righi da VE20 a VE22 del quadro VE. Di contro, secondo le istruzioni relative alla compilazione della dichiarazione, le restanti cessioni di beni allo “stato estero” (nella specie, quelle aventi per oggetto beni in transito e beni depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale) devono essere evidenziate nel rigo VE32 (Altre operazioni non imponibili), il cui importo non è rilevante neppure ai fini della formazione del plafond.
Stando alla normativa interna, le operazioni in esame, essendo non soggette a IVA per carenza del presupposto territoriale, andrebbero indicate nel rigo VE34. Questa diversa collocazione all’interno della dichiarazione annuale non è comunque idonea ad influire sulla verifica dello status di esportatore abituale, in quanto l’art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. n. 746/1983 dispone che le operazioni con l’estero registrate nell’anno solare precedente devono essere superiori al 10% del volume d’affari “rettificato”, cioè calcolato senza considerare:
- le cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale (riportate nel rigo VE32);
- le operazioni non soggette a IVA per carenza del presupposto territoriale, ma con obbligo di fatturazione ex art. 21, comma 6-bis, del D.P.R. n. 633/1972 (riportate nel rigo VE34).