7 Giugno 2014

Il principio del valore normale di cui all’art. 9 DPR 917/1986 si applica anche al transfer pricing interno

di Luigi Ferrajoli
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Vista la rilevanza del tema, torniamo ad analizzare la sentenza n.8849 del 16/4/2014, con la quale la Corte di Cassazione ha statuito che, nella valutazione ai fini fiscali delle manovre sul trasferimento dei prezzi tra società facenti parti del medesimo gruppo e aventi tutte sede in Italia, deve essere applicato il principio, avente valore generale, stabilito dall’articolo 9 del D.P.R. 917/1986.

Nel caso oggetto di esame da parte della Suprema Corte, a una società a responsabilità limitata è stato notificato un avviso di accertamento con cui l’Ufficio ha recuperato a tassazione costi considerati indeducibili a fronte di operazioni di transfer pricing conseguenti al trasferimento di utili a favore dell’impresa controllante, nonché costi relativi a perdite su crediti e a spese di pubblicità, ritenuti non interamente deducibili, oltre all’IVA indebitamente detratta in relazione a tutte le operazioni in contestazioni.

Il contribuente ha impugnato l’atto impositivo dinanzi alla CTP di Forlì. Il Giudice di prime cure, accogliendo solo parzialmente il ricorso proposto, ha confermato la legittimità della tassazione sulle operazioni di transfer pricing.

Avverso tale sentenza è stato dunque proposto gravame avanti alla CTR dell’Emilia Romagna. La Commissione adita, con sentenza n. 123/17/07, depositata il 12 novembre 2007, accogliendo le ragioni dell’opponente, ha ritenuto non configurabile nel caso di specie un’operazione di transfer pricing interno.

Parimenti, ha valutato come non applicabile alla fattispecie in esame la disposizione di cui all’articolo 37, comma 3, del D.P.R. 600/1973.

L’Ufficio è pertanto ricorso avanti la Suprema Corte avverso a tale provvedimento ritenendo che la maggiorazione del prezzo di vendita effettuata dalla Cooperativa a.r.l. nei confronti della società S.r.l. (socia) avesse come finalità esclusivamente quella “di assicurare, mediante un trasferimento di utili infragruppo, un vantaggio fiscale per il gruppo stesso, considerata la più favorevole legislazione speciale sulla fiscalità delle società cooperative”.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e, riprendendo le argomentazioni già dedotte con la sentenza n. 17955 del 24/7/2013, ha affermato che, nella valutazione a fini fiscali delle manovre sul trasferimento dei prezzi tra società facenti parte di uno stesso gruppo ed aventi tutte sede in Italia, deve essere applicato il principio, “avente valore generale, e dunque non circoscritto ai soli rapporti internazionali di controllo, stabilito dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9, che non ha mera portata contabile e che impone il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi presi in considerazione dal contribuente”.

Tale principio, vera e propria clausola antielusiva, costituisce esplicazione del generale divieto di abuso del diritto in materia tributaria, essendo precluso al contribuente di conseguire vantaggi fiscali mediante l’uso distorto – pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di legge – di strumenti giuridici idonei a ottenere vantaggi in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.

La Suprema Corte ha precisato inoltre che la disposizione dell’articolo 9 del D.P.R. 917/1986, non èuna norma dettata per le sole transazioni tra una società nazionale ed una estera. Ciò in ragione del fatto che la norma viene collocata tra le “disposizioni generali” applicabili in materia di imposte sui redditi, di cui al titolo I, capo I del D.P.R. 917/1986.

“Non a caso”, secondo il ragionamento della Suprema Corte, “ la disposizione dell’art. 76, commi 2 e 5 (come, ora l’art. 110, commi 2 e7) del decreto cit. rinvia al precedente art. 9, – secondo la tecnica normativa del rinvio recettizio ad una disposizione di carattere generale, da parte di una norma speciale che non prevede una disciplina specifica della fattispecie da regolare (Cass.914/68) – ai fini della determinazione del valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, con riferimento alle transazioni commerciali effettuate tra società dello stesso gruppo; e ciò sia pure con riferimento specifico all’ipotesi in cui alcune di tali società siano italiane, altre straniere”.

Viene nuovamente ribadito, peraltro, che grava sul contribuente, ai sensi dell’articolo 2697 Cod. Civ., l’onere di dimostrare che tali transazioni sono intervenute per valori di mercato da considerarsi normali, così come previsto dall’articolo 9, comma 3, D.P.R. 917/1986.