2 Ottobre 2013

La presenza di un dipendente non determina necessariamente il pagamento dell’Irap

di Federica FurlaniSergio Pellegrino
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Con la sentenza n.22020 del 25 settembre 2013, la Corte di Cassazione è tornata sul tema dell’autonoma organizzazione ai fini Irap, rigettando l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria contro una pronuncia della CTR della Puglia.

Quest’ultima aveva accolto, seppure parzialmente, il ricorso proposto da un medico contro il silenzio-rifiuto delle Entrate su un’istanza di rimborso relativa agli anni 1999-2000-2001.

Il nodo centrale della questione verte sulla validità dell’equazione “spese personale = Irap”: la presenza di (modeste) spese per emolumenti a soggetti terzi desumibili dalle dichiarazioni dei redditi relative alle annualità interessate prova sempre, come sostenuto dall’Agenzia, l’esistenza di un’autonoma organizzazione?

Secondo la Suprema Corte non è così. Scrivono i Giudici: “La presenza di modeste spese per emolumenti a terzi non appare sufficiente per determinare l’automatica sottoposizione ad Irap del professionista; specie a fronte della pochezza di detti compensi che non superano le 400.000 lire mensili. Giova del resto sottolineare che la presenza di dipendenti non è di per sé elemento costitutivo della autonoma organizzazione bensì un elemento presuntivo da cui può essere dedotta la sussistenza della autonoma organizzazione”.

Le motivazioni della sentenza in esame risultano particolarmente interessanti laddove, partendo dalla disamina della riforma del 1998 (il D.Lgs. 137/1998 che ha aggiunto nell’art. 2 D.Lgs. 446/1997 la specificazione secondo cui l’attività deve essere autonomamente organizzata), precisano che l’Irap coinvolge una capacità produttiva che può non essere compiutamente autonoma (cioè derivare da strutture autosufficienti), e deve pure sempre essere impersonale e aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista. Colpisce, infatti, un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa esterna, cioè da un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, sia suscettibile di creare un valore aggiunto rispetto ala mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know how del professionista. E’ pertanto il surplus di attività “agevolata” dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale.

La Corte ribadisce che in ogni caso spetta al giudice di merito l’accertamento del requisito dell’autonoma organizzazione, ovvero l’esistenza di una struttura tale da costituire un elemento potenziatore e aggiuntivo alla produzione del reddito, ed è insindacabile se congruamente motivato. Esso ricorre, per consolidato orientamento, quando il contribuente:

  • sia il responsabile dell’organizzazione;
  • impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione;
  • si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

L’indirizzo seguito dalla pronuncia è quello di non ritenere che la presenza di un dipendente, nel caso di specie per di più in part time, costituisca necessariamente fattore di per sé solo, decisivo ed insuperabile per considerare sussistente l’autonoma organizzazione; non vi può pertanto essere un’automatica sottoposizione al tributo del lavoratore autonomo che disponga di un dipendente, a prescindere della natura del rapporto e delle mansioni esercitate.

Vi possono, infatti, essere dei casi in cui il lavoro del dipendente non accresce la capacità produttiva del professionista , ma costituisce un mero ausilio alla sua attività personale.

La Corte conclude pertanto asserendo “che la sottoposizione a tassazione aggiuntiva di chi assume un dipendente anche quando tale dipendente non determini un qualche significativo aumento del reddito (si pensi al sostituto di un medico) e quindi manchi il presupposto giuridico dell’Irap, costituirebbe una sorta di sanzione che scoraggerebbe l’assunzione di dipendente”.

Le conclusioni della Suprema Corte appaiono senz’altro ragionevoli e condivisibili, ma non si può non evidenziare come si pongano in contrasto con precedenti pronunce assunte su fattispecie sostanzialmente assimilabili a quella esaminata nel caso di specie.