La svalutazione delle immobilizzazioni
di Viviana GrippoIl nuovo principio contabile, OIC 9, si occupa delle svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali. Esso consente, come si ha avuto modo di approfondire in un precedente intervento pubblicato sul nostro quotidiano (F.Furlani “OIC 9: semplificata la svalutazione per perdite durevoli di valore”), un approccio semplificato alla determinazione delle perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali, rilevanti agli effetti di eventuali svalutazioni. Si tratta di un approccio, come detto, riservato alle società che non superano determinati limiti dimensionali e si basa, come vedremo innanzi, sulla capacità di ammortamento.
Va innanzi tutto ricordato che la norma di riferimento è l’art. 2426, n. 3, Cod. Civ. che prevede che: “l’immobilizzazione che, alla data della chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minore valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata.
Per le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate che risultino iscritte per un valore superiore a quello derivante dall’applicazione del criterio di valutazione previsto dal successivo numero 4) o, se non vi sia obbligo di redigere il bilancio consolidato, al valore corrispondente alla frazione di patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio dell’impresa partecipata, la differenza dovrà essere motivata nella nota integrativa”.
Ma cosa intendeva il Legislatore, con il termine “valore”? Il valore normale, il valore d’uso o una sorta di valore intrinseco del bene?
L’OIC 9 interviene sui dubbi di interpretazione della norma civilistica e chiarisce che al termine dell’esercizio (o ad ogni data di chiusura del bilancio) occorre effettuare una apposita valutazione che abbia lo scopo di verificare se si sono manifestati indicatori di perdite durevoli di valore. Lo stesso principio riporta l’elenco degli indicatori che come minimo devono essere esaminati per riscontrare l’esistenza della perdita durevole:
- il valore di mercato di un’attività è diminuito significativamente durante l’esercizio, più di quanto si prevedeva sarebbe accaduto con il passare del tempo o con l’uso normale dell’attività in oggetto;
- durante l’esercizio si sono verificate, o si verificheranno nel futuro prossimo, variazioni significative con effetto negativo per la società nell’ambiente tecnologico, di mercato, economico o normativo in cui la società opera o nel mercato cui un’attività è rivolta;
- nel corso dell’esercizio sono aumentati i tassi di interesse di mercato o altri tassi di rendimento degli investimenti, ed è probabile che tali incrementi condizionino il tasso di attualizzazione utilizzato nel calcolo del valore d’uso di un’attività e riducano il valore equo;
- il valore contabile delle attività nette della società è superiore al loro valore equo stimato della società (una tale stima sarà effettuata, per esempio, in relazione alla vendita potenziale di tutta la società o parte di essa);
- l’obsolescenza o il deterioramento fisico di un’attività risulta evidente;
- nel corso dell’esercizio si sono verificati significativi cambiamenti con effetto negativo sulla società, oppure si suppone che si verificheranno nel prossimo futuro, nella misura o nel modo in cui un’attività viene utilizzata o ci si attende sarà utilizzata. Tali cambiamenti includono casi quali:
-
- l’attività diventa inutilizzata,
- piani di dismissione o ristrutturazione del settore operativo al quale l’attività appartiene,
- piani di dismissione dell’attività prima della data prima prevista,
- la ridefinizione della vita utile dell’immobilizzazione,
- dall’informativa interna risulta evidente che l’andamento economico di un’attività è, o sarà, peggiore di quanto previsto.
- se esiste un’indicazione che un’attività possa aver subito una perdita durevole di valore, ciò potrebbe rendere opportuno rivederne la vita utile residua, il criterio di ammortamento o il valore residuo e rettificarli conformemente, a prescindere dal fatto che la perdita venga poi effettivamente rilevata.
Qualora le fattispecie previste dagli indicatori si fossero manifestate, occorre, prima di svalutare, effettuare un ulteriore controllo, ovvero accertare se il valore recuperabile della immobilizzazione, determinato sulla base della capacità di ammortamento dei futuri esercizi, sia almeno pari al suo valore di iscrizione in bilancio.
Se gli ammortamenti relativi al cespite sono tali da determinare una perdita complessiva negli esercizi futuri in cui l’immobilizzazione è utilizzata, la svalutazione è obbligatoria.
C’è poi ancora di più, la novellata norma prevede che l’approccio basato sulla capacità di ammortamento non vada applicato in modo analitico, ma possa essere applicato considerando la capacità di ammortamento complessivo della società.
Una volta, quindi, che l’azienda abbia constatato l’obbligo di svalutazione, dovrà procedere con la seguente scrittura contabile (si ipotizzi il caso della svalutazione di un impianto):
Svalutazione Impianto (ce) a Fondo svalutazione Impianto (sp)
La voce svalutazione sarà iscritta in B10 c).
La svalutazione può avvenire anche in via diretta, senza cioè la creazione di un fondo, ma stornando direttamente il valore del bene iscritto in attivo di stato patrimoniale (scelta obbligata in caso di immobilizzazioni immateriali).
Svalutazione Impianto (ce) a Impianto (sp)
La scelta di utilizzare il fondo può essere dettata dalla volontà, ad esempio, di mantenere una evidenza storica delle variazioni di valore relative al bene intervenute nel tempo