Fattura, autofattura e integrazione: attenzione ai dati anagrafici
di Clara PolletSimone DimitriIl contenuto delle autofatture e delle operazioni soggette ad integrazione “elettronica” deve rispecchiare gli elementi previsti dall’articolo 21 D.P.R. 633/1972: in particolare, i dati anagrafici relativi al cedente e al cessionario cambiano a seconda che trattasi di autofatture o di integrazioni.
Sul punto, la circolare 14/E/2019 al paragrafo 6.4 propone diversi casi di compilazione.
Il documento di prassi richiamato analizza, in primo luogo, l’ipotesi in cui il cessionario debba integrare una fattura soggetta a reverse charge “interno”.
Si tratta, ad esempio, delle fatture per le prestazioni di servizi di pulizia relative ad edifici, ricevute senza Iva ai sensi dell’articolo 17, comma 6, lett. a-ter, D.P.R. 633/1972, che devono essere integrate dal committente con un documento separato.
Tale “documento di integrazione” può essere inviato facoltativamente allo SdI per ottemperare all’obbligo di conservazione a norma.
In tal caso, i dati del cessionario/committente vanno riportati nella sezione “Dati del cedente/prestatore” e nella sezione “Dati del cessionario/committente”.
Diverso è il caso dell’autofattura per omaggi o per autoconsumo: tale fattispecie richiede che i dati del cedente/prestatore siano indicati sia nella sezione “Dati del cedente/prestatore” che nella sezione “Dati del cessionario/committente”.
Si evidenzia che tale ipotesi richiede l’emissione obbligatoria dell’autofattura elettronica, con registrazione della stessa solo nel registro Iva delle vendite per consentire la liquidazione dell’Iva a debito.
Distinta casistica è, invece, quella del mancato ricevimento della fattura del fornitore entro quattro mesi dall’effettuazione dell’operazione, che richiede l’emissione di un’autofattura elettronica “denuncia” ad opera del cliente, nei trenta giorni successivi, al fine di evitare le sanzioni previste dall’articolo 6, comma 8, D.Lgs 471/1997 (tipo documento TD20).
Nel campo “Dati del cedente/prestatore” vanno inseriti i riferimenti del fornitore che avrebbe dovuto emettere la fattura, mentre nella sezione “Dati del cessionario/committente” vanno inseriti quelli relativi al soggetto che emette e trasmette via SdI il documento, vale a dire il cliente dell’operazione. Nella sezione “Soggetto Emittente”, infine, è necessario riportare il codice “CC” (cessionario /committente).
Esiste, inoltre, la possibilità che la fattura venga emessa da un soggetto terzo, in nome e per conto del cedente. L’onere di documentare l’operazione rimane in capo al soggetto individuato dalla legge, ossia il cedente o prestatore, tuttavia viene assolto avvalendosi di un terzo come, ad esempio, per le società sportive dilettantistiche ai sensi dell’articolo 1, comma 3, ultimo periodo del D.Lgs 127/2015.
Il campo cedente/prestatore sarà valorizzato con i dati del cedente/prestatore così come i dati del cessionario committente saranno quelli propri del cessionario/committente ma il campo “Soggetto Emittente” dovrà essere valorizzato con “TZ” (Terzo).
Come ricordato in premessa, i dati anagrafici obbligatori della fattura riflettono le indicazioni dell’articolo 21 D.P.R. 633/1972.
Così, ad esempio, nel caso in cui nella fattura non venga riportato il codice Rea (Repertorio Economico Amministrativo) non è necessario emettere una nota di credito per correggere l’omessa informazione in quanto non è un elemento richiesto dal citato articolo 21: tale conclusione è stata fornita dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione 208/E/2019.
Nel caso specifico erano state inviate delle fatture elettroniche senza l’indicazione del codice Rea. L’Agenzia delle entrate ha precisato che le norme civilistiche richiedono il numero di iscrizione nel registro delle imprese negli atti e nella corrispondenza e, pertanto, anche nelle fatture.
Sulla base dell’obbligo civilistico, le specifiche tecniche della fattura elettronica (Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate Prot. n. 89757 del 30 aprile 2018) contengono le indicazioni dell’Iscrizione REA tra gli elementi anagrafici che devono essere obbligatoriamente valorizzati nei soli casi di società soggette al vincolo dell’iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’articolo 2250 cod. civ..
L’articolo 2250, comma 1, cod. civ. prevede che «Negli atti e nella corrispondenza delle società soggette all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese devono essere indicati[…] l’ufficio del registro delle imprese presso il quale questa è iscritta e il numero d’iscrizione[…]». L’omessa indicazione comporta la sanzione amministrativa pecuniaria individuata nel successivo articolo 2630 cod. civ. (da 103 a 1.032 euro).
Non trattandosi però di un elemento richiesto dalle richiamate disposizioni Iva, l’assenza del codice Rea non ha riflessi in termini di documentazione delle operazioni e non obbliga all’emissione di alcuna nota di variazione ex articolo 26 D.P.R. 633/1972. Tale strumento è comunque utilizzabile laddove, nei tempi ed al ricorrere delle ipotesi individuate nell’articolo citato, si debba/voglia operare una variazione dell’imponibile o dell’imposta e, unitamente, far emergere il numero REA.