Interpretazione restrittiva per la clausola di prelazione
di Fabio LanduzziLa clausola di prelazione inserita nello statuto di una società per azioni, volta a regolamentare il trasferimento dei titoli rappresentativi del capitale sociale della società ceduta, non può essere oggetto di una interpretazione estensiva o analogica; essa deve invece essere interpretata in modo tendenzialmente restrittivo, in quanto ha l’effetto di derogare al generale principio della libera trasferibilità e circolazione delle partecipazioni societarie.
Questo è l’orientamento giurisprudenziale prevalente come confermato, a titolo indicativo, dal Tribunale di Milano, 10 giugno 2016 n. 7232, e, più di recente, dal Tribunale di Roma, 9 maggio 2017.
E proprio quest’ultimo arresto offre spunti interessanti, anche sotto il profilo pratico professionale, in quanto si riferisce ad un caso in cui il ricorrente aveva eccepito l’inefficacia di un trasferimento “indiretto” delle partecipazioni al capitale di una società che, a suo avviso, sarebbe avvenuto in violazione della clausola statutaria di prelazione; la particolarità del caso è che l’oggetto della cessione asseritamente inefficace non era la partecipazione diretta al capitale della società ceduta, il cui statuto conteneva appunto la clausola di prelazione, bensì il trasferimento delle partecipazioni di controllo della società a sua volta controllante il socio dell’impresa.
In altre parole, un caso di c.d. “change of control” in cui il cambiamento dell’assetto sociale non si ha per effetto dell’alienazione delle azioni della società, bensì di quelle che attribuiscono il controllo del socio.
L’eccepita violazione della clausola di prelazione, in questa circostanza, a parere del soggetto ricorrente, si fondava su di una interpretazione ed applicazione estensiva della prelazione statutaria, a partire dalla considerazione che la formulazione della clausola era piuttosto ampia e che essa, pur non riferendosi espressamente al caso del change of control, finiva con esonerare dall’innesco della prelazione, solo poche e specifiche alienazioni consentite.
Di diverso avviso, però, il Tribunale di Roma, il quale ha ritenuto che la clausola di prelazione non possa affatto trovare una applicazione per così dire allargata in virtù di una sua interpretazione estensiva.
Anzi, partendo dall’assunto che la regola generale è la libera trasferibilità delle partecipazioni sociali, la prelazione viene vista come una pattuizione volta a bilanciare questo principio generale con le esigenze di stabilità organizzativa della società.
Quindi, se non vi è una esplicita pattuizione in tal senso, non sarebbe equiparabile la fattispecie del trasferimento della partecipazione sociale a quella del mutamento del controllo del socio. Infatti, dal punto di vista strettamente oggettivo, nel caso del change of control mancherebbe la causa di innesco della prelazione in quanto l’oggetto del trasferimento non sarebbe la partecipazione al capitale della società, bensì il cambiamento del controllo del socio.
E anche sotto il profilo soggettivo sono intraviste difficoltà nell’addivenire ad una siffatta interpretazione estensiva, laddove ciò significherebbe estendere vincoli al trasferimento delle partecipazioni ad un soggetto (il socio della società partecipante) che non è parte dello statuto e quindi del contratto sociale.
Tutto ciò non fa però venir meno l’esigenza, spesso sentita dai soci di una società, di stabilizzare la compagine limitando anche il caso di cessioni “indirette” del controllo societario, appunto regolando la fattispecie del c.d. change of control.
Lo spunto che viene dalla giurisprudenza è quindi nel senso di sottolineare come tale obiettivo non possa essere perseguito invocando una applicazione estensiva della prelazione statutaria, bensì meriti una pattuizione ad hoc – ad esempio, mediante patti parasociali – oppure altri strumenti indicati anche dal Tribunale di Roma come ad esempio, l’utilizzo di opzioni put and call, il ricorso ad azioni riscattabili, ecc..