5 domande al Presidente de Nuccio
di RedazioneEc News incontra il Presidente del Cndcec Elbano de Nuccio che rispondendo alle nostre domande ci aggiorna sul percorso intrapreso per coinvolgere sempre più i commercialisti in un confronto con il Governo che li veda parte attiva, senza dimenticare di tracciare il futuro della professione.
Presidente, nell’ultima manovra di Bilancio si è assistito a un maggior coinvolgimento della categoria nella stesura del documento finale. Questo può rappresentare un punto di inizio per la professione?
Si, direi che la legge di Bilancio è stato un primo momento di ascolto reciproco tra Governo e Consiglio nazionale. Quella legge è stata giocoforza concepita in tempi rapidissimi perché l’esecutivo Meloni si è insediato a una distanza troppo ravvicinata dal termine ultimo per la sua presentazione. Per questo, pur indicando una direzione di marcia apprezzabile, è solo un primo passo dei tanti che andranno compiuti sul piano delle politiche fiscali ed economiche. Così come l’interlocuzione avviata in quella circostanza con l’esecutivo è stata solo l’inizio di una collaborazione istituzionale che si è già ulteriormente intensificata nei mesi successivi e credo sempre più crescerà nei prossimi. Si tratta di una svolta nell’approccio del Consiglio nazionale ai rapporti istituzionali. Sin dal primo giorno del nostro insediamento abbiamo affermato con forza che i commercialisti andavano coinvolti nella fase di stesura delle norme e non in consultazioni ex post dagli esiti troppo spesso irrilevanti. Direi che questo ribaltamento di impostazione è già nei fatti. Ne è prova la nostra collaborazione permanente con il Governo su diversi dossier, a cominciare da quello della Riforma Fiscale. Lei mi chiede se tutto ciò può rappresentare un nuovo inizio per la professione. La mia risposta è sì: cresce il nostro ruolo al servizio delle istituzioni e cresce l’autorevolezza della categoria, con effetti positivi non solo per la nostra professione, ma direi anche per il sistema. Ascoltare il nostro punto di vista in ambito fiscale porta benefici generalizzati: se le regole del gioco tengono conto delle osservazioni di chi quelle regole deve applicarle c’è un innegabile ritorno positivo per tutti.
Ci può anticipare quali saranno i prossimi tavoli sui quali Governo e categoria si confronteranno?
In queste settimane dico spesso che la categoria sta beneficiando di una congiunzione astrale favorevole: all’interno dell’esecutivo hanno ruoli centrali colleghi commercialisti o professionisti che conoscono bene la nostra realtà e comprendono il valore aggiunto delle nostre competenze. Con questo Governo il dialogo e l’ascolto reciproco è innegabilmente più agevole, perché i rapporti non sono viziati da un pregiudizio negativo, Anzi, direi che siamo nella situazione opposta. È per questo che i tavoli sui quali siamo impegnati sono molteplici. Siamo in questi mesi particolarmente attivi sul fronte della crisi d’impresa, sul Terzo settore, sull’internazionalizzazione, sui temi della sostenibilità, sull’asseto nuovo da dare ai bonus edilizi, superando gli eccessi degli ultimi anni e provando contestualmente a non penalizzare imprese e cittadini. Ma è chiaro che il nostro focus principale è adesso quello sulla Riforma fiscale. L’interlocuzione con il Viceministro Maurizio Leo è quotidiana, lo scambio di vedute e opinioni fittissimo. Riorganizzazione e semplificazione degli adempimenti, eliminazione dei microtributi, moratoria estiva sono alcuni degli aspetti sui quali contiamo di portare a casa risultati significativi. A breve dovrebbe arrivare dal Governo una prima proposta di Riforma. Per il Consiglio nazionale i prossimi saranno dunque mesi di grande lavoro per fornire il contributo più significativo possibile di idee, nell’interesse, certo, dei nostri colleghi, ma anche e soprattutto per un profondo rinnovamento dell’intero sistema tributario nazionale, che ha bisogno di una riforma organica. Un esito mai come questa volta a portata di mano.
Come sta cambiando la professione del commercialista?
Direi che siamo in una fase di passaggio tra un presente consolidato ma con evidenti segnali di sofferenza a causa di un mercato della consulenza fiscale troppo affollato e un futuro da costruire, per il quale dobbiamo impegnarci tutti con più tenacia per introdurre elementi di discontinuità e di innovazione. Riprenderemo presto in mano il tema delle specializzazioni: fatte con equilibrio e con la dovuta attenzione perché non diventino penalizzanti per i colleghi, sono uno sbocco inevitabile e positivo, perché quella è la direzione verso la quale si muove sempre di più il mercato. Questo significa che all’ambito della consulenza fiscale dovremo affiancare e rafforzare sempre più nuovi ambiti di attività e che dovremo abbracciare con sempre maggiore convinzione la logica delle aggregazioni professionali, con studi interdisciplinari che amplino la propria offerta consulenziale mettendo insieme commercialisti e colleghi di altre professioni. Si tratta di processi che per affermarsi hanno bisogno di una nuova consapevolezza culturale da parte dei colleghi e di una maggiore capacità di leggere la direzione di marcia intrapresa dal mercato. Ma c’è bisogno anche di concreti strumenti legislativi che le aggregazioni le agevolino davvero. E questo è un altro obiettivo sul quale ci concentreremo.
Lei parla spesso della possibilità o necessità di accrescere il ruolo di certificatore dei commercialisti. Perché?
Semplicemente perché conviene al sistema. Le faccio un esempio concreto. I risultati importanti ottenuti nel contrasto alle frodi in tema di superbonus sono il frutto proprio dell’interposizione dei commercialisti. Un modello da estendere il più possibile, che ci affiderebbe maggiori responsabilità, ma che avrebbe ricadute estremamente positive per la collettività. La nostra proposta è che ai commercialisti venga attribuita la funzione di certificatori in tutte le operazioni in cui si verifica un trasferimento di fondi pubblici verso il sistema economico. Del resto il ruolo del commercialista è determinate per la compliance, essendo il soggetto a cui il Legislatore ha riservato, con il visto di conformità, compiti di certificazione della regolare tenuta delle scritture contabili e della conforme compilazione delle dichiarazioni fiscali, ma che, in futuro, potrebbe essere anche deputato ad attestare la sussistenza dei requisiti di affidabilità fiscale, quali la solvibilità finanziaria o gli adeguati assetti organizzativi degli operatori economici, al fine di riconoscere loro particolari premialità o agevolazioni. Il nostro auspicio è in sostanza che cresca la funzione antifrode della nostra professione.
Da ultimo, che futuro ha la categoria e quali consigli può offrire ai giovani che si approcciano da poco sul mercato?
Parto da un presupposto: la rivoluzione digitale che negli ultimi 25 anni ha radicalmente modificato il panorama della consulenza fiscale non ha indebolito la presenza e il ruolo della nostra professione. Non lo ha fatto l’introduzione del 730 precompilato, ancor meno lo farà la precompilata Iva. Dico questo per dire che sono sicuro che per la professione ci sarà sempre un futuro, perché le sue competenze sono oggettivamente insostituibili. Però i nostri colleghi più giovani devono avere ben chiaro in mente che i cambiamenti vanno governati, non subiti. È questa la sfida che li attende e che, se vinta, li porterà a significativi successi professionali. La nostra Fondazione nazionale di ricerca pubblica un rapporto annuale sulla professione che da qualche tempo ci mette di fronte ad una realtà non del tutto tranquillizzante. Se negli ultimi due anni il numero degli iscritti e tirocinanti ha ripreso a crescere lentamente, il bilancio sul lungo periodo resta preoccupante: diminuiscono gli abilitati, diminuiscono i tirocinanti, diminuiscono i giovani. Di fronte a questo scenario i giovani devono gestire la propria presenza sul mercato professionale in maniera dinamica, avvantaggiandosi dei processi di digitalizzazione in atto. Soprattutto a loro rivolta la sfida delle specializzazioni, soprattutto loro dovranno da subito ragionare in termini di offerta interdisciplinare e soprattutto loro dovranno avere la forza e la capacità di aggredire nuovi ambiti di attività.