La scissione scorporo: prime considerazioni di carattere civilistico e fiscale
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Con l’articolo 51, D.Lgs. 19/2023 è stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova fattispecie di scissione, denominata “scissione scorporo”. Il citato D.Lgs. in realtà era nato per regolamentare le operazioni di fusione e scissione transfrontaliere, ma al suo interno vi è questa disposizione che interessa anche le operazioni regolate dal diritto nazionale. Il tutto avviene tramite modifica al codice civile, e più precisamente introducendo l’articolo 2506.1 rubricato, appunto, “Scissione mediante scorporo”.
Si tratta di una operazione del tutto innovativa rispetto al panorama preesistente, il cui ambito di azione risulterà più chiaro se la procedura viene messa in stretto rapporto con la scissione, diciamo, “normale”, e soprattutto con il conferimento.
Vediamo, anzitutto, in rapida sintesi, quale è il contenuto della disposizione:
“Con la scissione mediante scorporo una società può trasferire parte del suo patrimonio ad una o più società di nuova costituzione, assegnando a sé medesima le azioni delle citate società, continuando la propria attività”.
L’operazione è delineata dal nuovo articolo 2506.1, cod. civ., che è stato introdotto il 22 marzo 2023, ma l’articolo 56, D.Lgs. 19/2023 prevede una decorrenza posticipata al 3 luglio 2023. Ora non è chiaro se tale decorrenza valga solo per le operazioni transfrontaliere o se invece è valida anche per le scissioni scorporo interne. Comunque, va detto che il tema si porrebbe solo per le scissioni già eseguite alla data del 3 luglio 2023, che, con ogni probabilità, saranno alquanto rare attesa la novità dell’istituto.
La definizione inserita nel citato articolo 2506.1, cod. civ. ci permette di rimarcare alcuni aspetti:
- la società o le società beneficiaria/e devono essere neocostituite e generandosi dal trasferimento del patrimonio della scissa, esse devono avere quale unico socio la società scissa. Non è specificato nella norma se tale unipersonalità nella compagine societaria deve perdurare per un certo lasso temporale oppure possa essere immediatamente modificata tramite una cessione di quote. Il silenzio normativo induce a pensare che la seconda ipotesi sia legittima;
- le quote che rispecchiano il patrimonio trasferito vengono assegnate direttamente alla società scissa e non a suoi soci, elemento questo che marca una sostanziale differenza con la scissione ordinaria;
- la società scissa prosegue l’attività, quindi non è ammessa la scissione totale con cessazione della scissa. Si può dire che l’intero patrimonio può essere trasferito a una o più società ma la scissa resta in attività detenendo la partecipazione e quindi diventando, se viene cessata ogni altra attività operativa, una holding.
La scissione scorporo e la scissione normale
Il primo è più importante elemento di distinzione tra scissione ordinaria e scissione scorporo è rappresentato dalla individuazione del soggetto cui vanno assegnate le partecipazioni rappresentanti il patrimonio trasferito. Infatti, secondo l’articolo 2506, comma 1, cod. civ. (scissione ordinaria) le partecipazioni relative al patrimonio trasferito vengono assegnate ai soci della società scissa, mentre in base all’articolo 2506.1, cod. civ. (scissione scorporo) le partecipazioni restano in capo alla società scissa, che quindi si limita a permutare beni dell’attivo con partecipazioni. Uno degli effetti di questa previsione è che la scissione scorporo nasce come una scissione necessariamente proporzionale, nel senso che la partecipazione dei soci originari alla società scissa resta inalterata, mentre si produce un allungamento della catena societaria, per cui il socio originario diviene indirettamente socio della società beneficiaria tramite il filtro della società scissa. Questo scenario rende interessante capire cosa accade dal punto di vista contabile:
IPOTESI 1
L’operazione di trasferimento del patrimonio avviene in continuità dei valori di bilancio. In tal caso il capitale di costituzione della beneficiaria altro non è se non una porzione di quello già esistente in capo alla scissa, il che comporta la non necessità della perizia di stima, tranne che, ovviamente, la scissa sia società di persone e la beneficiaria società di capitale. Il valore di bilancio del patrimonio trasferito viene imputato a capitale sociale (o comunque patrimonio netto della beneficiaria), mentre in capo alla scissa i medesimi valori vengono allocati quale costo di iscrizione delle partecipazioni nell’attivo patrimoniale. Tutto ciò con mantenimento del valore patrimoniale complessivo ante scissione. Esempio: la scissa A detiene 2 rami di azienda per un valore dell’attivo globale di 1.000.000 di euro suddiviso in 400.000 euro (il ramo A) e 600.000 euro (il ramo B). Il patrimonio netto è di 1.000.000 di euro. Tramite scissione scorporo il ramo A viene trasferito alla neocostituita società D il cui capitale di costituzione sarà 600.000 euro a fronte di una azienda di uguale valore iscritta nell’attivo patrimoniale. La società scissa manterrà nell’attivo il secondo ramo di azienda, iscrivendo altresì sempre nell’attivo partecipazioni in D per 600.000 euro. Il valore patrimoniale della scissa A resta 1.000.000 di euro. Vale la pena sottolineare che nel caso di scissione ordinaria, l’esempio sopra riportato avrebbe comportato la riduzione del patrimonio della scissa da 1.000.000 euro a 400.000 euro con le genesi del patrimonio di D per 600.000 euro.
IPOTESI 2
L’operazione avviene in discontinuità dei valori. Il punto è particolarmente delicato poiché nell’ambito delle operazioni di fusioni e scissione “ordinarie” la discontinuità dei valori può avvenire solo in presenza di parti indipendenti, mentre nel caso di operazioni intercompany l’emersione di plusvalori, non avendo concreto significato economico, va annullata. Altresì, nelle operazioni ordinarie tra parti indipendenti, il plusvalore iscritto a bilancio va fatto oggetto di perizia di stima, poiché esso rappresenta il capitale eccedente rispetto a quello della scissa, la cui effettività va certificata dalla perizia di stima (Oic 4 e nella stessa direzione Consiglio Notarile di Milano, massima n. 72/2005). Ora la questione è che nella scissione scorporo la beneficiaria deve essere di nuova costituzione e ciò ha come conseguenza che l’operazione è per definizione intercompany. Da qui, secondo alcuni commentatori, deriverebbe il divieto di iscrivere nella beneficiaria plusvalori e quindi l’obbligo di agire in continuità dei valori contabili. Questa conclusione presenta certamente elementi logici, ma resta un aspetto di fragilità rappresentato dal fatto che la medesima operazione eseguita tramite conferimento permetterebbe l’emersione di quei plusvalori, mentre la scissione scorporo non lo permetterebbe. Per sostenere questa differenza viene segnalato dagli stessi commentatori che l’una è operazione realizzativa (conferimento), l’altra è una mera operazione di riorganizzazione aziendale (scissione scorporo). Anche questa argomentazione non sembra decisiva del tutto, potendosi enucleare posizioni dottrinarie che vedono nel conferimento (di azienda in particolare) non una operazione realizzativa, bensì una operazione di riorganizzazione aziendale.
Altra dottrina, (circolare Assonime n. 14/2023) adotta una posizione intermedia e cioè che, fermo restando il mantenimento dei valori contabili tra scissa e beneficiaria come tesi di default, sarebbe lecito iscrivere maggiori valori nel caso in cui il patrimonio contabile trasferito fosse negativo, mentre esso è positivo dal punto di vista sostanziale.
Il tema, ovviamente, resta in attesa di chiarimenti anche in ordine alle conseguenze fiscali di un eventuale disallineamento.
È chiaro che il tema poi diventa anche di interesse tributario, nel senso che se si ritiene legittimo eseguire una scissione scorporo con emersione di plusvalori si avrà anche la possibilità di riallineare gli stessi con imposta sostitutiva ex articolo 176, Tuir, laddove, ovviamente, oggetto della scissione sia almeno un ramo di azienda.
Gli elementi procedurali: scissione scorporo vs scissione ordinaria
Il citato articolo 2506.1, cod. civ. non prevede particolari deroghe sul piano procedurale rispetto alla scissione ordinaria, tuttavia alcune deroghe/semplificazioni appaiono scontate. In primo luogo, rispetto al contenuto del progetto di scissione (che deve elencare l’esatta descrizione degli elementi da trasferire alla beneficiaria) sono omissibili i punti 3, 4 e 5 e cioè il rapporto di cambio delle azioni o quote, nonché l’eventuale conguaglio in danaro; le modalità di assegnazione delle azioni o delle quote della società che risulta dalla fusione o di quella incorporante; la data dalla quale tali azioni o quote partecipano agli utili.
In secondo luogo, un aspetto precipuo nella scissione cioè la necessità che la relazione degli amministratori individui il valore effettivo degli elementi del patrimonio trasferito, potrebbe essere omesso laddove tutti i soci all’unanimità ritenessero non indispensabile tale relazione. Va detto, però, che sarebbe comunque opportuno inserire il valore effettivo, nel caso di omissione della relazione degli amministratori, nel progetto di scissione, posto che tale grandezza determina il tetto di responsabilità per le obbligazioni sociali non trasferite, bensì rimaste a carico della società scissa.
In terzo luogo, va segnalato che è certamente omissibile la relazione degli esperti, sempre che si abbia il consenso unanime dei soci della scindenda. Anche i termini di deposito del progetto prima della approvazione da parte dei soci possono essere rinunziati con il consenso unanime dei soci.
Tema alquanto delicato in materia di tempi necessari per concludere la scissione è quello dei termini per l’opposizione dei creditori, termini, ovviamente, non sindacabili dai soci poiché posti a tutela del terzo creditore. La norma in materia di fusioni (articolo 2503, cod. civ., applicabile anche alla scissione per effetto del richiamo esplicito nell’articolo 2506-ter, ultimo comma, cod. civ.) stabilisce detto termine in 60 giorni, salvo poi dimezzarlo a 30 giorni laddove alla fusione non partecipino Spa. La questione controversa è se detta riduzione (che velocizzerebbe alquanto la procedura) sia applicabile anche alla scissione ordinaria e conseguentemente alla scissione scorporo che sul punto non presenta elementi distintivi rispetto alla scissione ordinaria. Da una parte vi sono interpretazioni che facendo leva sul fatto che la norma di cui all’articolo 2506-ter (con cui sono richiamate le norme sulla fusione applicabili anche alla scissione) non citi l’articolo 2505-quater, concludono per l’inapplicabilità della riduzione dei termini alla scissione (Tribunale di Novara, sentenza 8 settembre 2020). Altre interpretazioni, sottolineando che la procedura della scissione non è disciplinata autonomamente, bensì è fortemente mutuata da quella della fusione, non vedono alcun motivo logico per negare la riduzione dei termini per l’opposizione dei creditori alle scissioni di Srl (Tribunale di Vicenza, 15 giugno 2007 e Notariato Triveneto, orientamento L.A.8).
Sempre in tema di ottimizzazione dei tempi previsti per l’operazione di scissione, va anche segnalato un orientamento autorevole secondo cui non opera per il decorso del termine, la sospensione estiva dal 1° al 31 agosto. Si veda al riguarda la massima n. 62/2005 del Consiglio Notarile di Milano:
“Decorsi 60 giorni dall’ultima iscrizione nel registro delle imprese delle relative deliberazioni, l’atto di fusione (o di scissione) può essere ricevuto (e quindi depositato per l’iscrizione), pur non essendo trascorso l’ulteriore periodo di cui il termine per l’opposizione dei creditori sarebbe maggiorato in caso di applicazione della sospensione feriale.
Il punto però è controverso e non mancano pronunce contrarie di alcuni Registri Imprese (cfr. Registro Imprese di Modena).
La scissione scorporo e il conferimento
Da sempre la scissione societaria presenta analogie con il conferimento di azienda (e in modo minore, almeno sul piano fiscale, di singoli beni), ma certamente con l’avvento dell’istituto della scissione scorporo, tali analogie diventano maggiori fino a sovrapporre le 2 operazioni. Infatti, la differenza sostanziale, sul piano civilistico, era rappresentata dal fatto che le partecipazioni nella società avente causa erano detenute dai soci della scissa e non dalla scissa stessa, a differenza del conferimento in cui la partecipazione nella conferitaria è detenuta dalla conferente. Ma questa differenza viene meno con la scissione scorporo, nella quale le partecipazioni nella società beneficiaria vengono detenute dalla società scissa.
Restano tuttavia, alcune differenza.
In primo luogo, dal punto di vista procedurale non vi è dubbio che il conferimento si presenta come procedura più snella poiché essa non comporta, necessariamente, il coinvolgimento di tutti i soci. Naturalmente dovranno essere coinvolti i soci della conferitaria nell’unico atto pubblico che deve essere attuato, cioè l’aumento di capitale per accogliere il coacervo di beni trasferiti dalla conferente, mentre sul lato della conferente la decisione di conferire un ramo di azienda può essere assunta anche dagli amministratori tranne che non ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 2479, punto 5), cod. civ., cioè che tramite il conferimento si modifichi sostanzialmente, anche se non formalmente, l’oggetto sociale. Per contro la scissione scorporo deve rispettare una serie di passaggi procedurali certamente più articolati che vanno dal progetto depositato presso il Registro Imprese, alle delibere dei soci, all’atto di scissione.
Altra differenza è la perizia di stima che nel conferimento non può essere omessa in quanto esplicitamente richiesta dall’articolo 2465, cod. civ., mentre nell’ambito della scissione scorporo, operazione nella quale di norma non vi è incremento del netto patrimoniale, essa può essere omessa se la società scissa è di capitali.
Ma è sul fronte delle responsabilità per le obbligazioni assunte che, a tutti gli effetti, resta una differenza di non poco conto.
Nella cessione/conferimento di ramo di azienda, le passività che compaiono nei libri contabili obbligatori possono diventare passività dell’acquirente poiché l’articolo 2560, cod. civ. prevede la responsabilità solidale di quest’ultimo con il cedente, con riferimento, appunto, a quelle passività. Più precisamente la norma citata, nel comma 2, afferma che l’acquirente risponde in solido dei debiti (presenti nei libri contabili) riferendosi a quelli che riguardano l’azienda (o il ramo) trasferito. Pertanto, nella dizione letterale dell’articolo 2560, cod. civ. non si prevede una responsabilità generale e solidale per tutti i debiti del cedente, alla mera condizione che compaiano nei libri contabili, bensì una responsabilità limitata ai debiti afferenti il ramo d’azienda trasferito. Ora può risultare non agevole separare con precisione i debiti di un ramo d’azienda rispetto a quelli di un altro ramo ma per talune posizioni debitorie questa separazione è evidente e indiscutibile. Va, inoltre, ricordato che per pacifica interpretazione dottrinale la norma poc’anzi citata si applica anche nel conferimento di ramo d’azienda, che, a questi fini, risulta essere assimilato a una cessione non monetizzata nella quale al posto del denaro il conferente riceve una partecipazione. Su questo tema si è espressa la Corte di Cassazione (sentenza n. 13319/2015) confermando la tesi su esposta e aggiungendo che l’acquirente/conferitario di ramo di azienda non solo non risponde dei debiti afferenti altri rami d’azienda non trasferiti, ma nemmeno risponde pro quota dei debiti relativi alla gestione complessiva dell’azienda. Questa tesi giurisprudenziale è molto importante e marca una centrale differenza tra conferimento di ramo di azienda e scissione dello stesso ramo, con riferimento alla responsabilità della società avente causa. Infatti, nella scissione societaria i debiti relativi ad altri rami d’azienda non trasferiti alla beneficiaria possono gravare su di essa a norma dell’articolo 2506-quater, ultimo comma, cod. civ., fermo restando il limite del patrimonio netto effettivo ricevuto dalla stessa beneficiaria. Diversa è la posizione della conferitaria la quale non può essere aggredita per debiti che non si riferiscono al ramo di azienda ricevuto, e per i quali risponde solo la società conferitaria alla quale quel ramo di azienda è stato attribuito. Ebbene non risulta che la scissione scorporo si atteggi diversamente per quanto attiene alla responsabilità, quindi, la beneficiaria resta passibile di aggressioni patrimoniali, pur nel limite dal patrimonio ricevuto, per le obbligazioni proprie della scissa non trasferite alla beneficiaria stessa.
La importante sentenza sopra citata non tocca, tuttavia, l’aspetto tributario, cioè le passività di carattere fiscale. Per esse vige l’articolo 14, D.Lgs. 472/1997, secondo il quale l’acquirente/conferitario è responsabile in solido con il cedente/ conferente per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei 2 precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
Per la scissione scorporo invece si applica l’articolo 15, comma 2, D.Lgs. 472/1997, che partendo dall’assunto che la scissione è una operazione di successione universale, stabilisce che ciascuna società è obbligata in solido con le altre società per il pagamento delle sanzioni relative a violazioni commesse prima dell’atto stesso di scissione.
I rilievi di carattere fiscale
L’operazione di scissione scorporo resta a tutti gli effetti una scissione, e quindi non vi sono motivi per ritenere non applicabile il disposto dell’articolo 173, Tuir. Tuttavia, su questo tema vanno fatte alcune considerazioni sulle quali ovviamente l’Agenzia delle entrate sarà chiamata a esprimere un parere.
Il primo tema riguarda il carattere di neutralità della scissione che è chiaramente affermato dall’articolo 173, comma 1, Tuir, e, a parere di chi scrive, non può che trattarsi di una peculiarità applicabile anche alla scissione scorporo. Con l’ulteriore osservazione in base alla quale la neutralità della scissione non è affatto condizionata dalla circostanza che oggetto del trasferimento da scissa a beneficiaria sia un intero rampo di azienda, bensì essa è applicabile anche quando vengono trasferiti singoli beni. Il tutto è implicitamente confermato dal comma 15-bis del citato articolo 173, Tuir che stabilisce la possibilità di eseguire il riallineamento tra minor valore fiscale e maggior valore civilistico con imposta sostitutiva (dal 12% al 16%) solo nel caso in cui venga trasferito un ramo di azienda, essendo richiamate le condizioni di cui all’articolo 176, Tuir. Quindi, la neutralità, regime di base della scissione, è facoltativamente derogabile, con effetto esclusivamente riconosciuto in capo alla beneficiaria, trasferendo una azienda, viceversa il regime applicabile è la piena neutralità. Questo passaggio non è di poco conto poiché si presenta una alternativa al conferimento di beni (operazione non neutrale fiscalmente) con una operazione societaria che ottiene i medesimi effetti del conferimento, posto che la partecipazione che rappresenta il bene trasferito resta iscritta in capo alla scissa. In dottrina, sul punto, vi è chi ha posto qualche dubbio sul fatto che la scissione scorporo possa essere considerata operazione realizzativa, con conseguente regime fiscale di non neutralità, ma non si vede come si possa pervenire a tale risultato, essendo confermato per la scissione scorporo, l’impianto normativo della scissione ordinaria che è a tutti gli effetti una operazione di successione universale.
Altra questione è verificare se si manifestano le condizioni per applicare 2 norme tipiche del conferimento di azienda inserite nel comma 4 del citato articolo 176, Tuir. In primo luogo, il fatto che laddove oggetto del trasferimento sia una azienda, essa si consideri detenuta dalla società avente causa beneficiaria a far data dallo stesso momento dal quale era stata detenuta dal soggetto dante causa, scissa. L’applicazione della norma nel passato poteva essere sostenuta sulla scorta del principio di neutralità e successione universale della scissione, sancito dall’articolo 173, comma 4, Tuir e tali aspetti, come sopra si ricordava, sono presenti anche nella scissione scorporo. Peraltro, se il riconoscimento della anzianità di detenzione dell’azienda è riconosciuto in una operazione di conferimento di azienda, per la quale si discute se prevalga la natura riorganizzativa ovvero quella realizzativa, non dovrebbero esservi dubbi sulla operazione di scissione scorporo nella quale il tema della successione universale della società beneficiaria rispetto alle posizioni della società scissa appare difficilmente contestabile.
Il secondo passaggio del citato articolo 176, comma 4, Tuir attiene alla anzianità di detenzione della partecipazione che la società conferente riceve in cambio del conferimento di azienda. Con tale norma si assicura alla società conferente la possibilità di cedere la partecipazione con un più che probabile soddisfacimento dell’holding period in ambito pex. Ebbene, per i medesimi motivi sopra citati non sembrano sussistere validi argomenti per discriminare la scissione scorporo rispetto al conferimento. Semmai il tema delicato è verificare se detta eredità della anzianità si applica sia nella ipotesi di scissione di singolo bene, sia di scissione di ramo di azienda. La citata circolare Assonime n. 14/2023 sul punto lascia intendere che in entrambi i casi la partecipazione possa essere ritenuta detenuta da quando i beni di primo grado erano detenuti, operando semmai una distinzione in merito alla classificazione della partecipazione nell’attivo immobilizzato, che sarebbe sempre riconosciuta nel caso di trasferimento di ramo di azienda e riconosciuto solo nella ipotesi di trasferimento di bene immobilizzato nel caso di scorporo di singolo bene.
Il tema della gestione delle riserve
Una questione di particolare interesse è la analisi della ricostituzione delle riserve a seguito della scissione, questione molto complessa già nella scissione ordinaria e che ora va collocata nello specifico ambito della scissione scorporo. Partiamo dal tema delle riserve in sospensione di imposta. L’articolo 173, comma 9, Tuir stabilisce che esse vanno ricostituite nella società beneficiaria in base alla quota percentuale di patrimonio netto rispettivamente attribuita alla beneficiaria e rimasta in capo alla scissa. Tuttavia, questo criterio di base viene derogato quando la riserva in sospensione di imposta è correlata in modo specifico a elementi trasferiti o meno alla società avente causa della scissione. Esempio tipico è la riserva da saldo attivo di rivalutazione, con effetto fiscale. Tale riserva è sia connessa a elementi specifici (il bene rivalutato), sia non connessa: questa apparente contraddizione è facilmente spiegabile. Quando la rivalutazione è sottoposta al periodo di monitoraggio (intendendo per tale il periodo entro il quale la cessione del bene rivalutato determinerebbe l’azzeramento della rivalutazione con conseguenza che il saldo attivo diventerebbe automaticamente una riserva libera), e se prendiamo quale esempio la rivalutazione di cui al D.L. 104/2020 il termine è il 31 dicembre 2023, il saldo attivo è elemento connesso al bene rivalutato. Al contrario quando invece è terminato il periodo di monitoraggio il saldo attivo non è più elemento connesso.
Come ha affermato la risposta a interpello n. 97/E/2020 se la scissione avviene durante il periodo di monitoraggio il saldo attivo è dunque elemento connesso, quindi va imputato interamente alla società che detiene il bene rivalutato, se, invece, la scissione avviene superato il periodo di monitoraggio il saldo attivo diviene riserva in sospensione di imposta non più connessa a elementi specifici, per cui va imputata in base al criterio di base, cioè la quota percentuale di patrimonio netto attribuita o rimasta. Questi sono i criteri applicabili alla scissione ordinaria, ma come gestire il medesimo tema in caso di scissione scorporo? In questa ultima operazione il patrimonio netto delle società interessate non viene ripartito, semplicemente una parte di esso viene trasferito a un’altra società ma la scissa non subisce una flessione patrimoniale (che giustificherebbe una divisione delle riserve in generale, e in particolare di quelle in sospensione di imposta), bensì permuta nel proprio attivo patrimoniale i beni di primo grado con quelli di secondo grado (partecipazione). Ma allora ciò che appare a chi scrive è che in linea generale vi sia un apporto in natura (riserva di capitale in capo alla beneficiaria) restando immutato il patrimonio netto della scissa. Ciò con la particolarità della riserva da saldo attivo in sospensione di imposta, per la quale occorre un collegamento con il bene rivalutato durante il periodo di monitoraggio della rivalutazione stessa, per il semplice motivo che se il bene rivalutato fosse ceduto nel periodo di monitoraggio il saldo attivo diventerebbe immediatamente libero.
Se si volesse applicare la regola sopra delineata con la risposta a interpello n. 97/E/2020 alla scissione scorporo si avrebbe che se essa viene eseguita durante il periodo di monitoraggio dell’effetto della rivalutazione, la riserva da saldo attivo dovrebbe essere trasferita alla beneficiaria se a essa è stato trasferito l’immobile rivalutato. Con l’effetto che la beneficiaria avrebbe un capitale netto che sarebbe formato da riserve di utili in sospensione di imposta e non da riserve di capitale. Nel contempo, la scissa (che non modifica il proprio patrimonio netto) si troverebbe a dover qualificare l’entità del proprio capitale modificando la parte in sospensione di imposta poiché non è pensabile che essa resti una riserva di utili poiché si duplicherebbe la tassazione sulla medesima quota di imponibile. Ma questa riqualificazione come potrebbe essere eseguita? Qualificando le riserve come elementi di capitale? Questa conclusione inaccettabile porta a pensare che debba essere individuata una alternativa.
In tale contesto sembra preferibile trattare la scissione scorporo, quanto al trasferimento del patrimonio netto, come l’operazione di conferimento di azienda, operazione nella quale il patrimonio netto della società dante causa non subisce modifiche, proprio come accade nella scissione scorporo. Che accade in tale fattispecie? Sul punto la circolare n. 14/E/2017 ha affermato:
“Di conseguenza, il disallineamento temporaneo sul valore dei beni dell’azienda conferita si trasferisce in capo al conferitario, mentre il saldo attivo rimane in capo al conferente. In caso di cessione del bene rivalutato da parte del conferitario durante il periodo di sospensione degli effetti della rivalutazione, le disposizioni contenute nell’articolo 3, commi 3 e 4 del d.m. n. 86 del 2002 si applicheranno nel seguente modo:
- il conferitario calcolerà la plusvalenza senza tener conto del maggior valore iscritto in sede di rivalutazione;
- il conferente avrà riconosciuto un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva riferibile ai beni conferiti e la riserva da rivalutazione sarà affrancata per un importo corrispondente al maggior valore iscritto sul bene ceduto”.
Applicando queste regole alla scissione scorporo emergerebbe che la scissa mantiene la riserva in sospensione di imposta, mentre la beneficiaria iscrive il bene rivalutato e, nell’ipotesi in cui sia ceduto entro il periodo di monitoraggio, la società beneficiaria calcola la plusvalenza sul bene non rivalutato, mentre la scissa libera la riserva da saldo attivo dallo status di sospensione di imposta e fruisce del credito d’imposta.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il reddito di impresa”.