11 Maggio 2015

Operazioni con introduzione di beni nel deposito Iva

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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La circolare n. 12/E/2015 contiene importanti chiarimenti in merito alle operazioni che possono essere eseguite utilizzando il
deposito Iva in regime di “sospensione” d’imposta ai sensi dell’art. 50-bis, co. 4, del DL 331/93. In particolare, il primo gruppo di operazioni è regolato dalle lettere a), b), c) e d), della predetta disposizione, e si riferisce alle ipotesi in cui i beni possono essere introdotti nel deposito Iva senza pagamento dell’imposta.

 

Acquisti intracomunitari

Tale fattispecie comprende le seguenti operazioni:

  • acquisti a titolo oneroso di beni eseguiti da un soggetto passivo italiano di beni provenienti da altro paese comunitario;
  • introduzione di beni in Italia da parte di un soggetto passivo comunitario (tale operazione è infatti considerata un acquisto intracomunitario ai sensi dell’art. 38, co. 3, del D.L. n. 331/93, con obbligo di nomina di un rappresentante fiscale “leggero”).

La prima ipotesi fa riferimento ad operazioni di introduzione di beni comunitari posta in essere da un operatore italiano. In questo caso, egli integra la fattura di acquisto senza applicare l’imposta, facendo riferimento all’art. 50-bis. Tale fattura viene quindi annotata nel registro acquisti come “operazione non soggetta ex art. 50-bis D.L. 331/93”. La merce, proveniente da un altro paese comunitario, a questo punto, viene introdotta nel deposito Iva, corredata della fattura di vendita o da idonea documentazione recante i dati per l’annotazione sul registro di carico da parte del depositario. Nel secondo caso, valgono le stesse regole appena descritte, fatte le seguenti precisazioni: l’operatore comunitario deve innanzitutto nominare un rappresentante fiscale nel nostro paese (ovvero il depositario stesso, quale rappresentante fiscale “leggero”).

 

Immissione in libera pratica

Il regime doganale della “libera pratica” è regolato dall’art. 79 del codice doganale comunitario, secondo cui “l’immissione in libera pratica attribuisce la posizione doganale di merce comunitaria ad una merce non comunitaria”.

Da quanto sopra, quindi, si ottiene un triplice effetto:

  • l’istituto della libera pratica consente di porre nello status di libera circolazione nell’area comunitaria (merci comunitarie) le merci estere, con pagamento dei soli dazi doganali e di ogni altra tassa ad effetto equivalente;
  • l’immissione dei beni in un deposito Iva viene effettuata senza pagamento dell’imposta, purché l’intenzione sia manifestata all’atto della presentazione delle merci alla dogana di entrata;
  • spostamento del momento in cui l’operazione assumerà rilevanza ai fini Iva all’atto dell’estrazione dei beni medesimi dal deposito Iva, ai fini della loro commercializzazione o del loro utilizzo in Italia.

La procedura consente quindi all’operatore comunitario di introdurre merci nella Comunità, evitando il pagamento immediato dell’Iva in dogana, con ciò risultando particolarmente vantaggiosa soprattutto per i soggetti che non possono vantare la qualifica di esportatore abituale, i quali possono utilizzare il plafond nei limiti dell’ammontare disponibile.

Nel caso di immissione in libera pratica di beni in dogana, l’introduzione presso i depositi fiscali segue il seguente iter procedurale: la merce, accompagnata da un documento di transito viene sdoganata. Nella relativa documentazione, deve essere specificato che la merce ha come destinazione l’introduzione in un deposito Iva. Quando il depositario accetta la merce e la prende in carico, sull’apposito registro appone l’attestato di presa in carico e il numero attribuito sulla bolletta. Copia di tale bolletta viene rimessa alla dogana che ha sdoganato la merce. La successiva estrazione rappresenterà un’operazione diversa a seconda della destinazione, dei beni: in questo senso potrà configurarsi un’operazione interna, comunitaria, ovvero un’esportazione.

La C.M. 10.06.1998, n. 145, il cui contenuto è stato confermato anche dalla C.M. n. 12/E/2015, afferma che “l’ufficio doganale di importazione, per il mantenimento dell’impegno in ordine alla destinazione assunto dal dichiarante, provvede a far garantire, anche tramite fideiussione, l’Iva non riscossa, sempre che non ricorrano le ipotesi di esonero dall’obbligo di prestare cauzione di cui all’art. 90 del TULD, n. 43, del 1973. Qualora venga accertata una destinazione diversa da quella dichiarata, lo stesso ufficio trattiene la cauzione.”

 

Cessioni di beni con introduzione nel deposito

Si tratta di operazioni di vendita di beni che non lasciano il territorio italiano, ma che sono eseguite nei confronti di clienti comunitari. In tal caso, poiché i beni non lasciano il territorio italiano, si tratterebbe di operazioni da assoggettare ad Iva in Italia. E’ dunque evidente il vantaggio di utilizzare i depositi Iva per tali tipi di operazioni, le quali non richiedono nemmeno la compilazione del modello Intra 1-bis.

In questi casi, quindi, non si tratta di operazione non imponibile (cessione intracomunitaria), bensì di “operazione non soggetta ex art. 50-bis D.L. 331/93”. Naturalmente, al momento dell’estrazione dei beni dal deposito, occorrerà, in base alla destinazione dei beni, assoggettare l’operazione al regime previsto.

L’Agenzia delle Entrate, nella C.M. n. 12/E, richiamando la R.M. 4.3.2002, n. 66/E e la R.M. 12.11.2008, n. 440/E, precisa che il soggetto acquirente comunitario non deve identificarsi ai fini Iva in Italia (nominando un rappresentante fiscale ovvero direttamente). Nell’ambito di tali operazioni, rientrano anche quelle contemplate nella lett. d) del co. 4 dell’art. 50-bis, effettuate tra due soggetti nazionali, ovvero tra un soggetto nazionale ed uno extraue, di beni normalmente trattati nelle borse merci ed introdotti nel deposito Iva.