10 Aprile 2015

La domanda con riserva e l’anticipazione bancaria con mandato all’incasso

di Fabio Battaglia
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Il tema relativo alla gestione dei castelletti per anticipi fatture in conto corrente con semplice mandato all’incasso (cioè senza la annessa clausola di cessione del credito) nell’ambito della domanda con riserva è stato ampiamente dibattuto in dottrina[1] e conosce numerose pronunce nella giurisprudenza di merito.

In particolare la questione investe la clausola, ormai presente nella quasi totalità dei casi, collegata a tali contratti che prevede il c.d. “patto di compensazione”

Scopo del presente articolo è delineare, stante l’incerto stato dell’arte della giurisprudenza in tema, il comportamento che ad oggi può ritenersi più corretto mantenere, nel caso in cui gli importi ancora da incassare siano rilevanti e possano modificare in modo significativo l’attivo disponibile per la gestione della procedura e, ancora, come la richiesta di sospensione possa ritenersi uno strumento che consente di intavolare trattative volte a garantire la prosecuzione del contratto di finanziamento nella continuità, con maggior forza contrattuale. 

In questa sede ci si limiterà unicamente a ricordare che, con l’avvento del nuovo articolo 169 bis L.F., è stata introdotta la possibilità di chiedere con ricorso di essere autorizzati (dal Tribunale o dopo il decreto di ammissione dal Giudice Delegato) a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione. Lo stesso articolo ha previsto la possibilità di essere autorizzati alla sospensione del contratto. La prima questione da risolvere è se sia possibile l’estensione di tale istituto in caso di presentazione di domanda con riserva ai sensi dell’art. 161, comma 6, L.F.. La prevalente giurisprudenza sembra orientata nel senso della possibilità, in questa fase, di poter quanto meno chiedere la sospensione del contratto.  

Ancora, anche ammessa tale possibilità, si apre il problema se il contratto sia da considerarsi in corso di esecuzione, cioè se tale dizione debba ritenersi assimilabile a quella di contratto pendente ai sensi dell’art. 72 L.F. e cioè ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti. Infatti la prevalente giurisprudenza ritiene tale contratto unilaterale, poiché la banca ha, nel caso di specie, interamente adempiuto alla propria prestazione, con l’effetto che, in tal caso la richiesta di scioglimento/sospensione sarebbe sempre inammissibile.

La giurisprudenza ha però risolto in prevalenza la questione, sensibile alle connesse ricadute in termini di par condicio creditorum, seppure con motivazioni diverse, in senso favorevole[2].

Fatta questa brevissima premessa, che è sostanzialmente di rinvio ai vari interventi dottrinali sul tema, cerchiamo di capire come il professionista può e deve muoversi di fronte a questa fattispecie, in caso di presentazione di domanda con riserva di presentazione di proposta e piano ai sensi dell’art. 161, comma 6 e ss, L.F..

In primo luogo va capito quale è l’attuale orientamento del Tribunale adito in tema poiché, seppure siano una minoranza, non mancano Tribunali che hanno escluso l’esperibilità di questo rimedio per le motivazioni negative sopra citate. Se il Tribunale ammette lo strumento in generale ed in particolare nella fase prenotativa, appare opportuno procedere in ogni caso alla richiesta di sospensione e non allo scioglimento, poiché la non definitività del provvedimento sembra meglio coordinarsi con la provvisorietà della domanda prenotativa, salvo poi, in sede di ammissione procedere con la richiesta di autorizzazione al definitivo scioglimento.

E’ evidente che se il concordato è in continuità indiretta (non si prende nemmeno in considerazione l’ipotesi meramente liquidatoria, che ha implicazioni del tutto ovvie), per cui la società richiedente in concordato declina, in sostanza, verso la liquidazione, non si porranno problemi particolari e la scelta sarà assunta solo sulla base della rilevanza degli effetti sull’attivo complessivo disponibile, dell’assorbimento che si produrrebbe con l’efficacia della compensazione e, quindi, la totale o quasi totale, soddisfazione dei crediti vantati dalla banca.

Se invece si versa in ipotesi di continuità diretta, la richiesta di autorizzazione alla sospensione potrebbe rispondere ad una logica di gestione strategica del rapporto con la banca e preludere ad una rinuncia alla sospensione stessa o comunque alla mancata richiesta di estensione temporale e/o successiva richiesta di autorizzazione al definitivo scioglimento, laddove la banca accetti di proseguire il contratto in continuità, partecipando al finanziamento dell’impresa, nella fase concordataria e post concordataria. Non può sfuggire come in tal caso la banca possa assumere tale impegno con la contropartita di poter procedere alla compensazione. D’altra parte la scelta di chiedere la sospensione deve essere adeguatamente soppesata con riferimento al peso che la banca complessivamente assume in relazione al voto, poiché è evidente che influirà sul consenso della stessa al piano. Rimane il fatto che la consecuzione delle procedure (concordato/fallimento) non è detto che determini la certezza in capo alla banca della definitiva acquisizione delle somme eventualmente incassate dopo la presentazione del ricorso per l’ammissione al concordato (non compensabilità o revocabilità delle rimesse), circostanza che, d’altra parte, la banca dovrà attentamente considerare.      

Delineato il quadro strategico che si profila in termini di scelte da operare, rimane da valutare il corredo informativo che, in caso di domanda con riserva, si dovrà mettere in campo. Infatti, a parte isolate pronunce che sembrano attribuire sul tema un diritto potestativo al debitore, che non necessita di particolari giustificazioni, la maggioranza dei Tribunali, che si sono orientati favorevolmente, pretendono che la richiesta sia giustificata in modo adeguato, con relazione al piano che dovrà essere presentato, per cui, come nel caso delle richieste di cui all’art. 182 quinquies (finanziamenti interinali prededucibili e pagamenti crediti anteriori che necessitano di specifiche attestazioni), sarà necessario tratteggiare, in modo neanche troppo vago, le linee guida del piano e la funzionalità della richiesta alla realizzazione del piano stesso che, se in continuità, non potrà che essere orientato ad un esito volto al miglior soddisfacimento dei creditori rispetto alla alternativa liquidatoria, senza con questo arrivare a pretendere una sorta di pre-attestazione, non richiesta nel caso di specie dalla legge e che, francamente, avrebbe poco senso.    

 


[1] Per tutti si cita in questa sede per sintesi e completezza
Giuseppe Rebecca e Amedeo Albè,
Concordato preventivo e contratti bancari con patto di compensazione, in
http://www.studiorebecca.it/2015/concordato-preventivo-e-contratti-bancari-con-patto-di-compensazione.html, nonché
Domenico Brancaccio e Maddalena Grillone,  
Gli effetti dell’accesso alla procedura concordataria sui rapporti di anticipazione di fatture ed effetti, in
Crisi e risanamento, Euroconference, N. 1/2013, pag. 23,
http://clienti.euroconference.it/ArchiviPdf/Crisi/20131220A04.pdf .  

[2] Si veda la soluzione adottata da Trib. Milano del 28 maggio 2014, in riferimento alla quale commento adesivo nell’articolo di Rebecca e Albè citato in nota 1, in  http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=10592.php