La crisi d’impresa e l’iscrizione a ruolo straordinaria
di Marco CapraNell’ultimo anno, le procedure concorsuali, fallimenti e concordati preventivi innanzi tutto, sono state oggetto di un’intensa attività da parte dei Concessionari della Riscossione.
Orbene, ci si chiede quale sia il senso di un’iscrizione a ruolo nel corso di una procedura concorsuale, che è, per definizione, finalizzata alla miglior tutela dei creditori, e per ciò normativamente regolata in modo tale da evitare ogni conseguenza “sfavorevole” per il ceto creditorio derivante da atti dispositivi del debitore assoggettato.
In altre parole, se, ai sensi del combinato disposto degli artt. 11, comma 3, e 15-bis del D.P.R. n. 602/1973, i ruoli straordinari, che comprendono “le imposte, gli interessi e le sanzioni (…) per l’intero importo risultante dall’avviso di accertamento, anche se non definitivo“, sono formati “quando vi è fondato pericolo per la riscossione“, e se il fondato pericolo per la riscossione è integrato dalla circostanza che il debitore abbia compiuto, o si abbia contezza stia per compiere, atti dispositivi del proprio patrimonio, tali da pregiudicare la fruttuosità di una (eventuale) futura esecuzione, è evidente che tali presupposti non sussistono quando sia stato dichiarato il fallimento del debitore.
Non solo questi è, infatti, privato “della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento” (art. 42, 1° comma, L.F.), per cui l’esistenza della procedura fallimentare, precludendo ogni atto dispositivo, costituisce di per sé la miglior tutela della garanzia patrimoniale, e, per riflesso, delle ragioni dei creditori, ma “dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durate il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento” (art. 51 L.F.), per cui l’adozione di una misura (ruolo straordinario), che è evidentemente prodromica all’esecuzione (ad es. un pignoramento, ma in teoria anche di un’ipoteca etc.) si scontra con il disposto del citato art. 51 L.F. (il pignoramento sarebbe in ogni caso inefficace, da cui l’inefficacia, inutilità e illegittimità dell’iscrizione).
Si tratta, tra l’altro, della conclusione tratta dal Ministero delle Finanze: “in ordine alla possibilità o meno di iscrivere in ruoli straordinari i carichi de quibus (ruoli straordinari per soggetti dichiarati falliti, ndr) il disposto dell’art. 11 del d.p.r. n. 602/1973 trova applicazione ogni qualvolta sussista fondato pericolo per la riscossione, in quanto è il periculum in mora che assurge ad elemento preminente rispetto ad ogni altra circostanza; pertanto, nell’ipotesi in cui il soggetto passivo dell’obbligazione venga dichiarato fallito, di fatto non è più ravvisabile lo stato di pericolo per la riscossione che giustifica l’emissione di un ruolo straordinario. Invero la procedura concorsuale assoggetta, in toto, a vincolo i beni del debitore – contribuente, il che comporta che non sia neppure ipotizzabile una menomazione sotto tale profilo dei diritti del creditori, ivi compreso l’Erario“, per cui “non essendo configurabile un pericolo per la riscossione (è) esclusa la possibilità di emettere ruoli straordinari ex art. 11, ultimo comma, del d.p.r. n. 602/1973” (R.M. n. 586/DF/1995).
Orbene, nonostante le argomentazioni che precedono siano del tutto corrette, è noto che la Corte di Cassazione, con orientamento solido e risalente, afferma la legittimità dell’iscrizione a ruolo straordinario in ambito concorsuale, individuando il periculum (che giustifica la misura: il “fondato pericolo per la riscossione“), non, come d’ordinario, nella concreta possibilità che il debitore disperda la garanzia patrimoniale, ma nel rischio che correrebbe l’Amministrazione – se così non operasse – di non riuscire a far valere il proprio credito, per il suo completo importo, nei termini imposti dalla procedura concorsuale, e con i privilegi che le spettano per legge.
Il periculum che legittima l’iscrizione è quindi quello di non poter insinuare tempestivamente e per l’intero il proprio credito, perdendo la chance di un soddisfacimento, anche parziale.
Non vi sono dubbi in merito a questa interpretazione: “a fronte di una procedura concordataria (…) non poteva nella specie negarsi l’urgenza, per l’Amministrazione, di costituire, sul fumus di un pericolo per la riscossione determinato dallo stato di insolvenza della contribuente, un titolo idoneo, utilizzando il ruolo straordinario, ad incidere immediatamente sulla formazione dello stato passivo e dei relativi privilegi, ed in ultimo anche sul rispetto della percentuale concordataria, infatti, ai fini della valutazione del periculum in mora, tale rispetto potrebbe essere vanificato dal mancato adempimento delle condizioni concordatarie e dal sopravvenire della procedura fallimentare. In tale contesto, appare dunque legittima l’emissione di un ruolo straordinario, che integra con efficacia immediata il titolo per l’ammissione al passivo del concordato della pretesa tributaria, il cui merito nella specie non è contestato; mentre l’instaurazione di un contenzioso tributario, come nel caso in esame, per pretesi vizi di forma del ruolo, non può evitare l’ammissione condizionata del credito tributario ma ha soltanto l’effetto di prolungare il momento dell’adempimento (Cass. 6032/98), da parte degli organi della procedura” (Cass.n. 7654/1999).
Il pensiero della Cassazione è ancor più netto nelle più recenti pronunce: “la Corte ha già ripetutamente enunciato il principio secondo cui «la dichiarazione di fallimento del contribuente integra di per sé il requisito del periculum in mora, per l’iscrizione delle imposte nel ruolo straordinario, configurandosi in proposito un fondato pericolo per la riscossione ai sensi del d.p.r. n. 602/73, art. 11. La dichiarazione di fallimento non può da sola rappresentare una piena garanzia della pretesa tributaria, posto che la relativa procedura dà luogo al concorso del credito vantato dall’Amministrazione finanziaria con gli altri crediti nei confronti del fallito, e che il ruolo straordinario costituisce un utile strumento per incidere immediatamente sulla formazione dello stato passivo e dei relativi privilegi»” (Cass. n. 243/2009).
Tanto chiarito, occorre chiedersi come debba essere “gestita” l’ammissione dei crediti portati sì da ruoli, ma contestati (è il caso, in particolare, delle pretese erariali oggetto di contenzioso pendente): orbene, ad avviso della Corte di Cassazione (Cass. n. 14617/2012), se sorgono contestazioni sul credito alla base del ruolo, portate all’attenzione del giudice tributario e non ancora decise con sentenza passata in giudicato, il giudice fallimentare deve ammettere il credito con riserva.
Sotto altro profilo, si osserva che, secondo ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, “il titolo in base al quale il concessionario è legittimato all’insinuazione è costituito dal solo ruolo, mentre nessun accenno è fatto alla necessità che l’insinuazione debba essere preceduta dalla notifica della cartella di pagamento e tanto meno che quest’ultima debba essere divenuta definitiva, cosicché deve ritenersi che anche i crediti iscritti al ruolo e azionati da società concessionarie per la riscossione devono seguire, nel caso di avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore, l’iter procedurale prescritto dalla legge fallimentare, legittimandosi la domanda di ammissione al passivo sulla base del solo ruolo” (Cass. n. 6520/2013).
Sicché, per l’ammissione al passivo fallimentare dei crediti erariali, il Concessionario è tenuto a produrre unicamente il ruolo e non anche a notificare preventivamente al debitore o al curatore la cartella esattoriale; anzi, “in un sistema, quale quello di verificazione del passivo in sede concorsuale, in cui l’agente alla riscossione può far accertare il credito mediante produzione dell’estratto del ruolo, il curatore che intenda contestare la pretesa tributaria sia legittimato all’autonoma impugnazione del ruolo medesimo, secondo quanto previsto dall’art. 19 lett. d) del DLgs. n. 465/92, e non abbia alcuna necessità di attendere la previa notifica della cartella esattoriale” (Cass. 25863/2014; adde Cass. 25071/2014).