3 Marzo 2015

Parliamo banchese

di Claudio Ceradini
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Continua la nostra rubrica settimanale dedicata alla crisi di impresa. Verificato come anticipare il dissesto ed individuare il fabbisogno finanziario, si stanno ora analizzando gli aspetti cardine della relazione tra debitore e terzi. Oggi si affrontano i rapporti con le banche.


 

Lo abbiamo compreso, e probabilmente già lo sapevamo, il risanamento cerca anche in banca la copertura del fabbisogno finanziario. Non solo ovviamente, la banca pretende, legittimamente, che anche l’imprenditore faccia la sua parte e, tuttavia, la disponibilità del sistema del credito ad ascoltare, a non ridurre gli affidamenti, e magari a concederne di nuovi a completamento della copertura di un serio progetto di risanamento è sempre preziosissima.

Il punto fondamentale è: in quali condizioni ci si presenta al tavolo. Se la percezione della banca è di avere di fronte un buon cliente, sino a quel momento affidabile ed ordinato, è un conto. Se invece il rating è già crollato, e con lui la credibilità del cliente, allora sarà necessario quasi un miracolo anche solo per alzarsi dal tavolo con del fabbisogno in più, e non in meno, a causa della riduzione o della revoca dei fidi che ne conseguirebbe. Con modalità diverse, e secondo meccanismi personalizzati e in costante aggiornamento, le banche calcolano il rating dei clienti. Molto raramente rendono noti i meccanismi, e financo i risultati, e tuttavia le determinanti variamente soppesate sono più o meno sempre le stesse tre: dati consuntivi (bilancio), risultati attesi (piani economici e finanziari) e il cosiddetto e famigerato “andamentale“, costituito dalle informazioni tratte dalla Centrale Rischi e, in misura minore, dal sistema dei S.I.C. (Sistemi Informativi Creditizi). Nelle realtà di piccole dimensioni il rating dipende essenzialmente dal terzo dei tre elementi e per una ragione molto pratica: è oggettivo. Bilancio e business plan provengono dai clienti, che, conoscendone l’uso che la banca ne fa, non lesinano spesso di utilizzare fino all’ultima delle risorse di contabilità creativa, benché i professionisti che li assistono sconsiglino caldamente (ne siamo certi) politiche di questo tipo, che conducono direttamente nel baratro, oltre che violare un numero significativo di leggi. La Centrale Rischi no, non è modificabile, raccoglie dagli intermediari creditizi informazioni sui clienti e le restituisce elaborate, sintetiche ed oggettive, senza possibili contributi creativi.

E’ quindi lì che si viene misurati, il luogo in cui il comportamento del debitore affidato è oggetto di segnalazione alla fine di ogni mese da parte di tutti gli istituti, che quaranta giorni dopo ricevono il flusso di ritorno, rielaborato, per singolo cliente.

Il funzionamento della Centrale Rischi è disciplinato della Circolare n. 139/1991 della Banca d’Italia, che nel tempo ha subito quattordici aggiornamenti, l’ultimo nel 2011. Alla Sezione 3 “Variabili di classificazione“, il paragrafo 12 disciplina la Qualità del Credito, che evidenzia se i crediti oggetto di segnalazione rientrino o meno tra le attività “deteriorate”, ai sensi della normativa di vigilanza ed, in particolare, ai sensi dell’altra Circolare della Banca d’Italia, la n. 272/2008 sulla Matrice dei Conti, sezione B.2 delle Avvertenze Generali. Qui si svelano le regole di segnalazione ed i successivi livelli di deterioramento che un credito della banca può subire e con lui il debitore.

Vi si individuano sostanzialmente quattro stadi, anzi, ai nostri fini si potrebbe dire “tre più uno”.

La posizione scaduta e/o sconfinante, in molti casi definita “pass due”, e riferita alternativamente al singolo debitore o alla singola transazione, qualifica l’esposizione per cassa e “fuori bilancio” (finanziamenti, titoli, derivati, etc.) che, alla data di riferimento della segnalazione, è scaduta o sconfinante da oltre 90 giorni. Meno di 90 giorni di sconfino o insoluto non conducono quindi alla segnalazione, che richiede quali presupposti anche la continuità dell’inadempimento e la sua significatività, per cui l’importo deve essere mediamente (ultimo trimestre) superiore al 5% degli utilizzi bancari netti (al netto delle compensazioni con la liquidità disponibile) e deve essere tale anche al momento della segnalazione.

Più grave l’incaglio, che qualifica lo sconfino / insoluto che perduri per un periodo superiore a 150/270 giorni, in relazione alla natura del credito, per importi mediamente (sempre ultimo trimestre) superiori al 10% degli utilizzi bancari netti e tali anche al momento della segnalazione.

L’ultimo stadio, pressoché irrecuperabile, è il credito a sofferenza. Deve trattarsi di un credito prevedibilmente irrecuperabile per la banca, nei confronti di un soggetto che versi, recita la Circolare “in stato di insolvenza“, anche non accertato giudizialmente, o in “situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca“, e quindi a prescindere dall’esistenza di eventuali garanzie “poste a presidio delle esposizioni”. Conta in sostanza la capacità di rimborso del debitore e non la perdita presunta per la banca, la quale è invece funzione anche delle garanzie ottenute.

La quarta, ma ai nostri fini meno importante, classificazione dello stato del rapporto è il credito ristrutturato, con cui la banca qualifica le posizioni in cui modifiche contrattuali intervenute successivamente all’erogazione abbiano comportato una perdita per la banca, anche solo determinata dal confronto dei flussi attualizzati al tasso convenzionale.

Queste, in sostanza e con l’approssimazione che la sintesi impone, sono le segnalazioni da evitare accuratamente, per salvare il rating.

Chi gestisce la finanza in azienda, che sia l’imprenditore stesso, un suo dipendente o il CFO di una struttura più organizzata, devono tenere presente queste regole, ed è nostro compito insegnarle a chi si affida a noi professionisti.

A volte alcuni semplici accorgimenti, su cui potremo tornare in futuro, sono di grande aiuto. Ad esempio, poiché le banche sono tenute a segnalare le posizioni a fine mese, e devono segnalare quello che risulta a quella data, è conveniente determinare con i fornitori date di pagamento, ad esempio, al dieci del mese successivo, cosicché l’utilizzo, ancorché stressato ed innaturale, degli affidamenti non intervenga alla data di segnalazione. Ancora, se il complesso degli affidamenti è insufficiente e non vi sia altra soluzione, temporaneamente, che sconfinare, non lo si faccia sempre sulla stessa banca, verificando la condizione di continuità che a quel punto imporrebbe la segnalazione. Diversamente, si sconfini un po’ a turno, mai continuativamente e fuori soglia.

Capiamoci, questi trucchetti non salvano nessuno a lungo andare. Non si perda di vista lo scopo, che è solo quello di comprare tempo per organizzare il risanamento, sperando di poter contare ancora sul proprio rating quando alle banche chiederemo di fare la loro parte, e solo quella, per la copertura del fabbisogno. Il fortino possiamo difenderlo anche così, ma insistendo con i trucchi si finisce solo per minarlo dall’interno.

Curato il rapporto con la banca, ci mancano adesso tutti gli altri, fornitori, clienti, soci, dipendenti etc..

Partiamo dai primi, i fornitori, martedì prossimo.