20 Febbraio 2015

Gli Interest rate swap tra falsi miti e realtà

di Massimo Buongiorno
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Non è infrequente che le decisioni degli imprenditori e degli amministratori siano prese sulla base di giudizi preconcetti e false convinzioni piuttosto che sulla base di valutazioni approfondite delle conseguenze che tali decisioni possono determinare.

Il caso dei derivati di tasso, noti come Interest Rate Swap o IRS, è emblematico. Essi sono infatti associati a due diffusi pregiudizi: il primo, comune a tutti i derivati, è che si tratta di strumenti di elevata complessità e comprensibili ad un ristretta cerchia di addetti ai lavori e il secondo è, invece, che siano soggetti ad un forte rischio di comportamenti opportunistici della controparte delle imprese, tipicamente un istituto di credito.

Ne deriva un giudizio di sfiducia che porta a decidere comunque di non sottoscrivere questi contratti.

Veniamo al primo punto. La complessità dello strumento è funzione dell’esigenza del cliente. Ad una semplice esigenza di copertura del rischio di tasso si accompagna uno strumento semplice che consiste nella trasformazione del tasso pagato dall’impresa, su un finanziamento in essere, da variabile a fisso.

Questo strumento noto come IRS plain vanilla è facilmente comprensibile da qualunque soggetto in possesso delle nozioni economiche e finanziarie di base, necessarie allo svolgimento dell’attività di impresa, richiede al più qualche minuto di approfondimento.

L’aspetto cruciale è invece quello di comprendere se e quanto l’IRS sia opportuno in un dato contesto aziendale. E’ innegabile che un finanziamento a tasso variabile comporti un rischio per l’impresa che in presenza di rialzi significativi e rapidi può portare a compromettere l’equilibrio finanziario. In tal senso, l’IRS viene ad essere una sorta di assicurazione che fissa l’importo da versare alla banca, succeda quel che succeda. Gli imprenditori e gli amministratori fortemente avversi al rischio sceglieranno questa soluzione. Al contrario, in presenza di una maggiore propensione ad accettare un rischio di tasso, la decisione potrebbe essere quella di confidare nella discesa/stabilità dei tassi e quindi di sfruttare un andamento favorevole di mercato.

Ad esempio, un’impresa che si è finanziata a 5 anni nel marzo del 2009 avrebbe avuto un tasso fisso pari al 2,76%. L’evoluzione successiva dei tassi ha mostrato che l’Euribor, ad esempio a 6 mesi, è sempre stato inferiore al tasso fisso e quindi la scelta di rimanere sul tasso variabile sarebbe stata premiante.

Parrebbe quindi che la decisione di coprire o meno il rischio sia funzione delle aspettative sull’andamento dei tassi e dell’avversione individuale a tale rischio.

In realtà deve essere considerato anche il rischio/scadenza, ovvero il premio implicito nel tasso fisso, che dipende esclusivamente dalla durata del debito. Il peso del rischio/scadenza può essere facilmente riscontrato esaminando una curva dei tassi: i tassi fissi a 5 anni sono minori di quelli a 7, a 10 e così via. A prescindere dalle aspettative sui tassi, il mercato finanziario applica sempre un premio che copre l’intermediario dal rischio che in un lungo intervallo di tempo “tutto possa accadere”.

Il vantaggio che l’impresa ha avuto, nell’esempio citato, non dipende solo dal favorevole andamento dei tassi ma anche dall’avere risparmiato il premio per il rischio/scadenza che corrisponde, con alcune approssimazioni, al costo assicurativo citato in precedenza.

E’ evidente che se la comprensione del funzionamento di un IRS plain vanilla è sicuramente semplice, la valutazione di opportunità è più complessa e richiede un supporto professionale specifico che diviene indispensabile quando più ci si sposta verso strumenti più complessi in grado di attivare coperture solo in situazioni specifiche.

Il tema della consulenza professionale ci riporta al secondo pregiudizio che riguarda gli IRS.

Il risalto, anche mediatico, di alcune situazioni ha portato a facili generalizzazioni.

Pur essendo innegabile che nel periodo compreso tra il 2003 e il 2008 molti istituti abbiano proposto contratti che sono tuttora oggetto di contenzioso in sede civile e anche penale, è anche vero che lo scenario è molto cambiato e oggi le banche forniscono una disclosure indubbiamente maggiore, specie per quanto riguarda le commissioni che le remunerano.

Tuttavia analizzando i casi più critici emerge come gli istituti di crediti abbiano approfittato di un ruolo di fiducia per vendere prodotti propri con profitti anche elevati, ma che si sono dimostrati inutili se non dannosi alle imprese.

Imprenditori e amministratori devono adottare un approccio più “professionale” alla gestione del rischio di tasso: definendo in primo luogo quanto rischio intendono coprire, e come, e solo successivamente rivolgersi ad uno o, meglio, a più istituti di credito, per farsi quotare un prodotto. Il tutto avvalendosi di una consulenza veramente indipendente, ove le competenze interne non fossero sufficienti.