Come ti rettifico la dichiarazione
di Massimiliano TasiniL’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998 ai commi 8 e 8-bis disciplina le dichiarazioni rettificative: precisamente al comma 8 le rettifiche a favore del fisco, al comma 8-bis quelle a favore del contribuente.
Le questioni che si annidano dietro a queste previsioni sono tante, tantissime.
Di due di queste vorremmo fare parola.
Premettiamo che la rettifica pro fisco può essere operata per riparare ad errori od omissioni entro il termine di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973.
Anche la rettifica pro contribuente può essere operata per rimediare ad errori o omissioni: in questo caso però la disposizione precisa che essi devono aver determinato un maggior reddito, un maggior debito di imposta o un minor debito. Il motivo di questo inciso risulta piuttosto oscuro.
Diversamente dalla rettifica pro fisco, quella pro contribuente deve essere operata entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, con la precisazione che il credito di imposta che dovesse dalla stessa emergere può essere utilizzato in compensazione ai sensi del D. Lgs. n. 241/1997.
Ciò posto, ci si chiede da tempo se il limite di un anno di cui al citato comma 8-bis osti o meno alla rettifica pro contribuente.
La Cassazione è chiaramente divisa:
- da una parte, secondo Cass. 04.04.2012 n. 5399 “il limite temporale dell’emendabilità della dichiarazione integrativa «non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo» appare doversi ritenere … necessariamente circoscritto ai fini dell’utilizzabilità «in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997», indicata nella successiva proposizione della disposizione“;
- dall’altra, invece, Cass. 20.04.2012 n. 6218 ha ritenuto che, dopo l’01.01.2002, “il termine di decadenza stabilito per la rettifica del contribuente … è diverso – come chiaramente si evince, ora, dal raffronto tra il co. 8 e il nuovo co. 8-bis dell’art. 2 del DPR 22 luglio 1998, n. 322 – per la rettifica a lui sfavorevole rispetto a quello stabilito per la rettifica a lui favorevole“; in quest’ultimo caso, infatti, il termine coincide con quello per “la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo a quello cui si riferiva la dichiarazione da emendare”.
Altra questione consiste nello stabilire quale rapporto sussista tra istanza di rimborso ex art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 e dichiarazione rettificativa a favore.
In più occasioni, per esempio nella sentenza Cass. 20.04.2012 n. 6253, si è ritenuto che il contribuente, in base all’art. 2 comma 8-bis del D.P.R. n. 322/1998, “è titolare della generale facoltà di emendare i propri errori mediante apposita dichiarazione integrativa, la quale, peraltro, agli effetti dei termini di decadenza, e stante la mancanza di modifiche allo specifico (e autonomo) regime delle restituzioni, non interferisce sull’effettivo esercizio del diritto al rimborso; sicché l’istanza di rimborso può essere proposta anche oltre il termine di presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo“.
Tuttavia, solo sedici giorni prima la stessa Corte, con la sentenza 04.04.2012 n. 5373, aveva affermato un opposto principio ritenendo che:
- l’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 “ certo senso complementare a quella di liquidazione”;
- “l’emenda o la ritrattazione”, di cui al co. 8-bis dell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998, “riguarda invece i casi di dichiarazione di fatti diversi da quelli già dichiarati (e tali da determinare un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito) – in ordine ai quali non potrebbe ipotizzarsi un rimborso se non a seguito di un’attività propriamente di controllo e di accertamento del presupposto «favorevole» da parte dell’Amministrazione finanziaria“;
- “in questi casi, una volta scaduto invano il termine stabilito per la rettifica della dichiarazione, nessuna istanza di rimborso è ammissibile (al di fuori dei casi di errori materiali, duplicazioni o versamenti relativi ad obbligazioni tributarie inesistenti), posto che la stessa si porrebbe in contrasto con una dichiarazione ormai divenuta inemendabile (dovendosi dare all’introduzione di un termine per la rettifica un significato corrispondente ad un effetto giuridico)“.
In entrambi i temi prospettati, è auspicabile un consolidamento delle tesi favorevoli al contribuente.
Nel primo caso, invero, una interpretazione letterale dell’art. 2 sembra obiettivamente cozzare con lo spirito della norma, tenuto conto che già nel 2002 la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, aveva affermato il generale principio della emendabilità e della rettificabilità della dichiarazione pro contribuente, in applicazione dei principi di buona fede, imparzialità e capacità contributiva.
Nel secondo caso, la lettura “limitante” dell’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 contrasta con la pressoché consolidata giurisprudenza di legittimità, che interpreta da sempre in modo estremamente ampio la disposizione, anche in tal caso nell’intento di evitare distorsioni nell’applicazione del principio di capacità contributiva.
Staremo a vedere.