Trust elusivo e sequestro conservativo
di Luigi FerrajoliCon la recente sentenza n. 46137 del 07.11.2014, la Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, si è pronunciata in ordine alla possibilità di sottoporre a sequestro conservativo, da parte del Giudice per le Indagini Preliminari, i beni conferiti in un trust istituito da soggetto indagato per reati di bancarotta.
Nel caso di specie, il G.I.P. aveva disposto la misura in relazione ad alcuni fabbricati oggetto di conferimento in un trust in cui l’imputato, unitamente ai famigliari, rivestiva la qualifica di trustee e di beneficiario. Il Tribunale del riesame, a propria volta, aveva rigettato l’impugnazione proposta.
In particolare, il Tribunale aveva condiviso l’accertamento incidentale del Giudice per le Indagini Preliminari, il quale aveva dichiarato la nullità dell’atto costitutivo del trust considerandolo uno “sham trust” e, come tale, non idoneo a produrre gli effetti segregativi del patrimonio, propri dell’istituto.
La Suprema Corte, a seguito di ricorso proposto dall’imputato, ha rigettato l’impugnazione articolando la propria motivazione come segue.
Innanzitutto, il Giudice di legittimità ha rilevato l’infondatezza della tesi proposta dal ricorrente secondo cui, per potere pignorare e sequestrare i beni del patrimonio segregato, vi sarebbe stata la necessità di previo provvedimento di dichiarazione di simulazione del trust ovvero di revoca dei relativi conferimenti.
La Corte di Cassazione, infatti, sul punto afferma che la “piena trasparenza” della finalità elusiva della costituzione del trust è emersa dalle indagini preliminari, quale operazione realizzata “come mero espediente per creare un diaframma tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust, con evidente finalità elusiva delle ragioni creditorie di terzi, comprese quelle erariali”.
Secondo quanto argomentato dalla Suprema Corte, ciò sarebbe stato reso evidente da una serie di elementi convergenti, quali: la qualifica di disponenti e di trustee riferita all’imputato e alla madre; l’avere costituito il trust in un arco temporale in cui le società di cui l’imputato era amministratore, poi fallite, si trovavano in situazione di dissesto occultato dall’imputato stesso; i beneficiari del trust erano componenti della famiglia dell’imputato e della madre; la durata del trust era stata indicata dalla data di costituzione sino alla morte di tutti i beneficiari; i beni immobili oggetto di conferimento erano stati ceduti al trust dall’imputato e dalla di lui madre; da ultimo, il trust era stato trasferito in Romania.
La Corte di Cassazione, sulla base di tali circostanze, ha evidenziato che, secondo quanto risultante da un consolidato orientamento interpretativo riferito alla sentenza della stessa Quinta Sezione n. 13276 del 24.10.2011, il trust prevede l’affidamento ad un terzo di determinati beni affinché questi li amministri e gestisca quale titolare dei diritti ceduti (quindi quale “proprietario”) per poi provvedere alla restituzione dei medesimi, alla scadenza del trust, ai soggetti indicati dal disponente.
Elemento presupposto e ineludibile dell’istituto in esame, dunque, viene individuato nella perdita di disponibilità di quanto conferito in trust da parte del disponente.
Qualora, viceversa, lo stesso mantenga il controllo dei beni (e che quindi la perdita di disponibilità sia solo apparente), si versa nell’ipotesi denominata sham trust, ossia il trust è nullo e non può produrre gli effetti segregativi ad esso precipui.
Ad avviso della Suprema Corte, dunque, il Giudice della cautela ha correttamente concluso che l’imputato, allo stesso tempo trustee ed amministratore, aveva di fatto conservato la disponibilità dei beni conferiti nel trust, oltre ad essere anche il beneficiario, unitamente alla madre e ai familiari.
A tale proposito, secondo il Giudice di legittimità il Tribunale del riesame ha giustamente evidenziato che, nel trust, il ruolo fondamentale viene attribuito al trustee il quale, nei rapporti con i terzi, agisce non già come rappresentante, bensì come soggetto che dispone del diritto.
Nel sottolineare inoltre l’irrilevanza della circostanza che i beni siano pertinenti o meno ai reati contestati, doglianza invece sollevata dal ricorrente, la Corte di Cassazione ha dunque ritenuto pienamente legittimo il sequestro conservativo degli immobili conferiti in trust “alla luce dell’accertato comportamento sleale” dell’imputato e giustificato altresì dal giudizio prognostico negativo in ordine alla conservazione delle garanzie patrimoniali del debitore.