Cessione di azienda: “valore” e “prezzo” sono concetti diversi
di Fabio LanduzziLa questione dell’estensione ai fini delle imposte sul reddito, e quindi agli effetti della determinazione della plusvalenza imponibile per il cedente, del valore del ramo di azienda oggetto di trasferimento che viene definito – vuoi con sentenza passata in giudicato o vuoi nel contesto di un qualche istituto deflattivo (acquiescenza, accertamento con adesione o conciliazione giudiziale) – ai fini dell’imposta di registro, è fonte di una produzione piuttosto copiosa di liti fra fisco e contribuente e di conseguente giurisprudenza.
L’orientamento della Cassazione sembra però essersi fatto di recente abbastanza definito. Viene riconosciuto, da una parte, il diritto dell’Amministrazione finanziaria a procedere all’accertamento induttivo mediante l’integrazione della imposizione sulla plusvalenza, ai fini del reddito dichiarato dal cedente, in modo da uniformare quanto è stato definito nel procedimento avviato rispetto all’imposta di registro (il valore dell’azienda ceduta) con quanto dichiarato nella determinazione dell’imponibile ai fini dell’imposta sul reddito (il prezzo pagato).
Nel contempo, viene riconosciuto il diritto del contribuente che intenda opporsi ad una siffatta equivalenza induttiva, contestando l’inesattezza della correzione o integrazione della plusvalenza dichiarata, di produrre qualsiasi elemento utile, anche di natura indiziaria, a superare la presunzione di corrispondenza fra il prezzo incassato ed il valore del compendio aziendale ceduto; questi dovrà quindi presentare ogni tipo di prova che sia funzionale a dimostrare di avere venduto ad un prezzo reale corrispondente a quanto dichiarato e rilevato nelle proprie scritture contabili, seppure inferiore al valore dell’azienda così come cristallizzato ai fini dell’imposta di registro.
Questi principi hanno trovato recente conferma nella sentenza della Suprema Corte n. 21632/14, la quale ha accolto il ricorso del contribuente, cassando la sentenza precedentemente emessa dalla CTR Basilicata.
In particolare, i giudici della Cassazione hanno stigmatizzato le conclusioni a cui era giunto il giudice di appello, laddove questi aveva ritenuto di essere vincolato agli accertamenti compiuti nel procedimento relativo all’imposta di registro, senza quindi tenere in considerazione gli elementi che erano stati prodotti dal contribuente e la loro concreta rilevanza ai fini del superamento della presunzione semplice di corrispondenza fra il valore rilevante ai fini dell’imposta di registro ed il prezzo rilevante ai fini della formazione della plusvalenza imponibile.
La Cassazione afferma, infatti, che deve essere del tutto escluso che il giudice, chiamato a verificare la legittimità dell’accertamento emesso dall’Amministrazione finanziaria in relazione alla plusvalenza realizzata sulla cessione dell’azienda sulla sola base dell’esito del precedente procedimento avviato ai fini dell’imposta di registro, sia vincolato in modo univoco a questa determinazione. Non si tratta affatto di un “giudicato interno”, quando si ha riguardo al rapporto fra imposta di registro e imposte sul reddito, relativamente al rapporto che intercorre fra l’accertamento di valore ai fini del registro e la quantificazione della plusvalenza imponibile.
Di conseguenza, viene confermato che il giudice deve disporre una doverosa attività di verifica sulla consistenza di tutti gli elementi addotti dal contribuente; nel caso di specie, ad esempio, venivano citati, fra gli altri i criteri con cui era stato valutato il ramo di azienda ceduto, la determinazione dei costi non ammortizzati dei beni inclusi nel compendio aziendale, il fatto che si trattasse di un’impresa familiare, ecc.
Viene quindi confermata, con questo recente arresto giurisprudenziale, da un lato, la legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria sotto il profilo accertativo ma, dall’altro lato, la necessità che il giudizio ai fini delle imposte sul reddito sia svolto tenendo conto di tutti gli elementi che il contribuente produce al fine di dimostrare la differenza esistente fra il valore riconosciuto ai fini dell’imposta di registro ed il prezzo concretamente riscosso e che deve concorrere alla formazione della plusvalenza imponibile.