I presupposti dell’azione di responsabilità contro gli amministratori
di Luigi FerrajoliÈ con la recente pronuncia n.22573 del 23 ottobre 2014 che la Prima Sezione della Corte di Cassazione ha delimitato l’ambito di esperibilità dell’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali, prevista dal disposto normativo di cui all’art. 2395 Cod. Civ., sottolineando che, qualora il danno lamentato costituisca solo il riflesso di quello cagionato al patrimonio sociale, risulterebbe inapplicabile la richiamata disposizione codicistica, poiché la medesima richiederebbe, in realtà, che il danno de quo abbia investito direttamente il patrimonio del socio o del terzo.
Nel caso specifico sul quale è stato richiesto il giudizio di legittimità della Suprema Corte, il socio di una società a responsabilità limitata aveva convenuto in giudizio gli amministratori della stessa, lamentando di aver subito un danno derivante dalla risoluzione di alcuni contratti di vendita asseritamente vantaggiosi per la società.
Il Tribunale di prime cure aveva dichiarato inammissibile la domanda, qualificata ai sensi dell’art. 2395 Cod. Civ., rilevando che, nella specie, il danno si era prodotto nella sfera patrimoniale dell’attore solo di riflesso, in considerazione del fatto che il soggetto pregiudicato in via immediata dalla condotta dei convenuti era la stessa società. La sentenza della Corte d’appello di Torino, del medesimo avviso, aveva confermato la pronuncia del Tribunale. Il socio aveva così invocato la Suprema Corte la quale, tuttavia, aveva rigettato il ricorso depositato dal medesimo ricorrente.
Come noto, il nostro ordinamento disciplina l’azione individuale esperibile dal singolo socio danneggiato da atti degli amministratori, ai sensi del citato disposto normativo di cui all’art. 2935 Cod. Civ., qualora sussista un pregiudizio al patrimonio del singolo provocato da comportamenti dell’amministratore integranti un fatto illecito e ciò anche senza che da tale azione derivi un danno alla società (viceversa, il fondamento sia dell’azione sociale che di quella dei creditori è proprio il danno subito dal patrimonio della società).
Negli ultimi anni, le pronunce giurisprudenziali hanno infatti affermato che il diritto all’azione individuale sussiste sia nell’ipotesi in cui il patrimonio della società abbia tratto vantaggio dall’atto illecito degli amministratori sia, nel caso contrario, qualora la società, contestualmente all’azione individuale, eserciti l’azione di responsabilità per il risarcimento del danno subito dal suo patrimonio.
Ebbene, ciò che in questa sede preme evidenziare è che, con la pronuncia della Prima Sezione Civile in esame, si è evidenziato, quale presupposto ineludibile per l’azione individuale ex art. 2395 Cod. Civ., proprio che il danno lamentato dal socio non costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché la predetta disposizione normativa impone che il singolo socio medesimo sia stato danneggiato “direttamente” dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.
Con detta statuizione, la Suprema Corte non ha fatto altro che confermare un principio già affermato con la sentenza n.4548/2012 della Terza Sezione della Cassazione, con cui era stato sentenziato che “la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio”, alla luce del fatto che “gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale”, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.
In buona sostanza, qualora una società di capitali subisca, per effetto dell’illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l’incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell’illecito (si veda in tal senso anche SS. UU. n.27346/2009).
In conclusione, qualora il singolo socio decida di ricorrere all’azione individuale al fine di ottenere il risarcimento per un illecito subito da uno o più amministratori, lo stesso, prima di esperire efficacemente l’azione, dovrà preventivamente accertarsi che la lesione de qua non sia meramente il riflesso di un danno al patrimonio sociale, ma sia la conseguenza diretta dell’azione dannosa posta in essere dall’amministratore.