Deducibili le operazioni soggettivamente inesistenti
di Leonardo PietrobonLa riqualifica delle operazioni da oggettivamente inesistenti a soggettivamente inesistenti permette la piena deducibilità degli stessi in capo al soggetto acquirente, anche nell’ipotesi in cui lo stesso “acquirente” sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni. Questa è l’estrema sintesi del principio affermato dalla sentenza emessa dalla CTP di Brindisi n. 987/04/14, con la quale è stato pienamente accolto il ricorso introduttivo presentato da una società operante nel settore della raccolta di rottami ferrosi.
La vicenda trae origine dall’impugnazione avverso un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate con il quale quest’ultima, a seguito di una verifica della Guardia di Finanza, recuperava alcuni costi, in quanto privi del requisito della certezza, di cui all’articolo 109, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 917/86, in quanto riguardanti operazioni inesistenti.
Sulla questione, la CTP di Brindisi ha innanzitutto ricordato che tra le operazioni inesistenti è necessario distinguere:
- operazioni oggettivamente inesistenti, in quanto mai effettuate, totalmente o parzialmente;
- operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto concluse fra soggetti del tutto od in parte diversi da quelli che le hanno attuate.
In riferimento all’ultima categoria di operazioni – quelle oggettivamente inesistenti – la CTP di Brindisi, richiama il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16226 del 16.07.2014, secondo il quale, laddove ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti (e, quindi, contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o la deduzione dei costi) l’Ufficio ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che le operazioni fatturate non sono state effettuate, così ponendo a carico del contribuente l’onere della dimostrazione dell’effettiva esistenza di dette operazioni contestate (dimostrazione che non può consistere nella esibizione delle fatture, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di fare apparire reali operazioni invece fittizie).
A tal proposito, l’Agenzia nel proprio avviso di accertamento ha dimostrato, mediante l’esibizione di prove documentali, come i soggetti indicati nelle fatture di acquisto negli anni oggetto di accertamento fossero impossibilitati nell’eseguire l’attività di raccolta rifiuti, ad esempio per l’assenza di mezzi di trasporto o di strutture idonee allo svolgimento della particolare attività, o per le precarie condizioni di salute dell’imprenditore individuale.
La società ricorrente, invece, si è prodigata nel dimostrare l’effettiva esecuzione oggettiva delle operazioni contestate dall’Agenzia delle entrate, mediante l’esibizione di tutta una serie di documenti contabili ed extracontabili (registri di carico e scarico dei rifiuti raccolti, i documenti comprovanti il peso del materiale movimentato, i documenti di trasporto), riepilogati in una relazione tecnica che ha permesso la “tracciatura” puntuale di ogni movimento del rifiuto/merce.
Sulla base di tali elementi “oggettivi”, la CTP di Brindisi ha riqualificato le operazioni da “oggettivamente inesistenti” a “soggettivamente inesistenti”, citando quanto riportato dalla stessa Guardia di Finanza nel PVC, secondo cui “allo stato non si può escludere che trattasi di documenti emessi per importi e quantitativi di merci della società, per giustificare acquisti effettuati presso altri soggetti che, per vari motivi, non potevano emettere fatture. Quindi gli acquisti di cui si discute vanno ad avviso di questa commissione riferiti ad operazioni da qualificarsi “soggettivamente” e non già “oggettivamente” inesistenti”.
A conclusione di tale ragionamento la Commissione afferma che “A questo punto soccorre allora ricordare che, come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, vale in materia il principio per il quale il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia delle dichiarazioni rese dal contribuente che dell’accertamento dell’Ufficio: ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali) è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria ed a ricondurla, mediante motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura”.
Infine, a parere della CTP di Brindisi l’avviso di accertamento merita di essere annullato anche sulla base di un principio più volte affermato dalla Corte di Cassazione, ovvero che in tema di imposte sui redditi, a norma dell’articolo 14, comma 4-bis, della L. 537/94, nella formulazione introdotta con l’articolo 8, comma 1, del D.L. 16/12, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti per il solo fatto che essi siano stati sostenuti (finanche nel quadro della c.d. “frode carosello”), anche per le ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del D.P.R. n. 917/86, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cassazione n. 2016/2014, n. 10167/2012).