13 Ottobre 2014

Il reddito delle STP? È reddito d’impresa

di Sergio Pellegrino
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Qualche mese fa (
Il reddito delle STP? È lavoro autonomo del 10 luglio 2014) avevamo evidenziato sulle pagine di Euroconference NEWS come, dopo l’approvazione dello
schema di decreto legislativo sulle
semplificazioni fiscali, fosse divenuto chiaro che le
Società tra professionisti producessero
reddito di lavoro autonomo.
Si veniva così a risolvere un
tema dibattuto sin dall’introduzione delle stp nel nostro ordinamento e al quale il legislatore tributario non aveva dedicato, fino a quel momento, alcuna attenzione.
Nel testo del decreto semplificazioni originariamente presentato dal governo vi era infatti una disposizione, collocata all’articolo 11, che stabiliva appunto che alle società tra professionisti,
indipendentemente dalla forma giuridica scelta, si dovesse applicare il
regime delle associazioni, e questo anche ai fini
Irap.
Il
testo finale licenziato dal governo dopo l’esame delle osservazioni pervenute dalle commissioni parlamentari
non contiene più questa previsione e quindi, di conseguenza, il reddito prodotto dalle società tra professionisti
non si deve considerare reddito di lavoro autonomo, come era stato invece sostenuto sin dall’inizio da parte del nostro Consiglio Nazionale.
Le modalità di tassazione delle società tra professionisti
dipendono quindi dalla tipologia societaria prescelta, come era stato sostenuto tra l’altro nella risposta ad un interpello presentato alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate dell’Emilia-Romagna.
La Direzione Regionale aveva correttamente osservato che la
società tra professionisti non è un modello societario, perché le forme societarie attraverso le quali può essere svolta l’attività professionale sono quelle della società di persone, della società di capitali o della società cooperativa: le società tra professionisti non
costituiscono un genere autonomo con causa propria e sono quindi legate alla disciplina del modello prescelto.
La conseguenza è che producono
reddito d’impresa e che tra l’altro i compensi
non devono essere assoggettati a ritenuta d’acconto da parte del committente.
Questa conclusione, nonostante la visione diversa espressa dalla nostra categoria, è probabilmente condivisibile perché comunque la qualificazione come reddito di lavoro autonomo avrebbe avuto conseguenze negative a livello operativo. Ad esempio la difficoltà di far convivere un bilancio redatto con il criterio della competenza ed un’imposizione in capo ai soci per cassa, o le difficoltà di attribuzione delle ritenute e dello stesso reddito ai soci, tant’è che ad esempio la
Rete delle Professioni Tecniche aveva espresso una visione diametralmente opposta a quella dei commercialisti, indicando nelle audizioni parlamentari come fosse opportuno eliminare la previsione originariamente contenuta nell’articolo 11 del decreto.
Se per il
futuro quindi la situazione è chiara, si pone il problema di chi ha invece gestito la società tra professionisti ritenendo che questa producesse redditi di lavoro autonomo e si trova a
dover “cambiare in corsa” per quanto riguarda il periodo d’imposta 2014 e senza sapere cosa fare in relazione al periodo precedente (considerato che la possibilità di costituire stp si è avuta soltanto con l’emanazione del decreto interministeriale 8 febbraio 2013).
Va detto che, fortunatamente, la problematica interessa un
numero limitato di contribuenti, in quanto proprio l’incertezza sul versante tributario è stata uno dei principali freni allo sviluppo delle stp.
Allo scorso giugno, stando ai dati di Unioncamere,
erano infatti soltanto 193 le società tra professionisti: 109 nella forma di società di capitali (56,5%), 65 in quella di società di persone (33,7%), 13 le società semplici (6,7%) e 5 le cooperative (2,6%).