1 Ottobre 2014

Indennità espropriativa: note in tema di quantificazione e profili fiscali

di Massimiliano TasiniPatrizia Pellegrini
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L’espropriazione per pubblica utilità
è disciplinata dal DPR 327/2001 il quale, all’art. 32, fissa il
principio generale in tema di determinazione del valore del bene oggetto di esproprio stabilendo che “
l’indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data di emanazione del decreto di esproprio, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù.”
Sul punto, la
consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale (a partire dalla sentenza 5/1980, principi poi ripresi e confermati dalle pronunce 223/1983,  283/1993 e 348/2007) ha precisato il
principio di serio ristoro, per la cui realizzazione occorre far riferimento, nella determinazione dell’indennizzo, al
valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso secondo la legge, dovendosi escludere valutazioni del tutto astratte, in quanto sganciate dalle caratteristiche essenziali del bene ablato. Solo in tal modo, può assicurarsi
la congruità del ristoro per il sacrificio imposto al privato ed
evitare che esso sia meramente apparente od irrisorio rispetto al valore del bene.
Nello stesso senso è anche la
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale, a partire dalla decisione del 29 marzo 2006 (Scordino c/Italia),
ha fissato alcuni principi generali, tra i quali, per quanto qui di interesse, la
non legittimità dell’indennizzo nel caso in cui lo stesso non consista in una somma che si ponga in rapporto ragionevole con il valore del bene, anche avuto riguardo all’ulteriore falcidia dell’imposizione fiscale.
In buona sostanza, i Giudici Europei affermano il principio che
il legittimo sacrificio che può essere imposto in funzione dell’interesse pubblico
non può giungere fino alla (concreta) vanificazione dell’oggetto del diritto di proprietà. 
Quanto
all’imposizione fiscale, limitando in questa sede l’analisi alla sola ipotesi di indennità di esproprio conseguita nell’esercizio di imprese commerciali, va preliminarmente osservato che
l’indennità predetta, quando è relativa a immobilizzazioni materiali o immateriali, contabilmente origina plusvalenze o minusvalenze come una normale cessione di beni, da determinarsi in base alla differenza tra l’indennizzo percepito ed il costo non ammortizzato del cespite di riferimento, secondo le disposizioni degli articoli 86 e 101 del TUIR.
La partecipazione di detto componente al risultato dell’esercizio si avrà
nell’anno in cui si verifica la perdita del bene che coinciderà con il perfezionamento dell’atto di cessione volontaria o con l’emissione del decreto di esproprio.
Nel caso di specie, altresì, risulta applicabile l’art. 86, comma 4, TUIR che prevede
la possibilità di rateizzare la plusvalenza in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto, se il bene oggetto della plusvalenza è stato posseduto per un periodo non inferiore a tre anni.
Nell’ipotesi in cui, all’esito di un procedimento giudiziario, nei successivi anni di imposta l’azienda percepisca ulteriori somme a titolo di maggior risarcimento, dette somme costituiranno
sopravvenienza attiva da tassare secondo i dettami dell’art. 88, comma 2, TUIR.
Ai fini IVA, l’indennità di esproprio per pubblica utilità, ancorché costituisca un risarcimento conseguente alla perdita del bene da parte del soggetto ablato, in presenza del presupposto oggettivo in capo al cedente dà origine ad un’operazione imponibile, attesane la
qualificazione giuridica di cessione di beni (Ris. A/E 3 giugno 2005, n. 73/E).