Il trust “sprint”
di Ennio VialVita Pozzi
Una volta un notaio mi disse: non ho seguito il trust perché il cliente lo voleva in 8 giorni e mi è sembrato un tempo insufficiente per approcciare la questione. E’ una tesi che sposo pienamente. L’esperienza mostra che i trust “sprint”, ossia quelli che devono essere predisposti per ieri, alla fine o non vengono mai realizzati oppure vengono poi procrastinati a tempo indefinito.
Il risultato che ne esce è spesso disastroso e crea ormai un filone di lavoro per gli operatori seri che si trovano a “mettere le mani nel guano” per sistemare un pasticcio, ammesso che ci si riesca.
La stesura di un atto di trust comporta due tipi di attività: da un lato la consulenza relativa alle clausole dell’atto, dall’altro l’istruttoria notarile sui beni inseriti in trust, istruttoria che può risultare particolarmente complessa ad esempio in presenza di un compendio immobiliare di rilievo. Ovviamente, l’istruttoria diventa più semplice in caso di partecipazioni e si riduce a zero in ipotesi di atto di trust meramente istitutivo.
Ammesso che il notaio riesca a portare a termine questa attività in tempo limitato, rimane la questione dell’analisi delle clausole e, a monte, anche una analisi volta a valutare l’opportunità della soluzione trust nel caso concreto.
La sedimentazione delle clausole interessa soprattutto il disponente il quale, pur avendo assunto informazioni sull’istituto, deve ponderare attentamente alcune disposizioni scegliendo se inserirle o meno nell’atto oppure di farle adattare al suo caso concreto.
La sedimentazione, però, riguarda anche il consulente serio. Se prendiamo una bozza e lavoriamo di copia incolla tutto risulta facile e spedito, ma se scaviamo nelle varie clausole cercando di riscriverle per personalizzarle al caso concreto, l’operazione si rivelerà ardua anche per il consulente.
Sintetizzare una volontà in una clausola senza che ci siano problemi di tipo giuridico o, peggio, che emergano delle ambiguità sotto il profilo interpretativo non è facile.
Bisogna leggerla, rileggerla, farla leggere ad un collega chiedendo la sua opinione, farla leggere a qualcuno non esperto di trust per sentire anche l’opinione più distaccata quasi da “uomo della strada”.
Poi non manca una attività di consultazione col notaio circa alcune clausole o altri aspetti connessi all’operazione.
Quando tutto sarà definito, si andrà dal notaio a redigere l’atto.
E’ così giunto il momento di ufficializzare il tutto.
Sentire il Notaio che ti legge il tuo atto, cogliere qualche sua esitazione nella lettura in alcuni passaggi, susciterà ancora l’esigenza di qualche ulteriore limatura. E’ come il barbiere che dopo averti tolto l’asciugamano dal collo ti ritocca lo stesso con il rasoio.
Questo è lo scenario che potremmo definire: lo standard del trust fatto bene.
Quando arriva il professionista pressato dal suo cliente che ti chiede il trust per ieri che fare?
Tralasciando in questa sede di analizzare i profili della disciplina antiriciclaggio, bisogna avere la forza di rifiutare l’incarico o di imporre un timing che consenta l’esecuzione del mandato in modo consono.
Diversamente cosa accade? L’atto viene redatto in fretta, l’istruttoria del notaio si chiude a ridosso dell’appuntamento con il rischio di far saltare l’atto per la mancanza di un documento e in sede di lettura dal notaio il disponente solleva molte questioni e ci si trova a discutere di elementi fondamentali fino al punto di giudicare se il trust sia la scelta adeguata.
Se nonostante queste traversie si esce dal notaio con l’atto fatto, dopo un po’ di tempo il disponente mostrerà, con comportamenti concludenti, di non aver colto nulla di quanto ha fatto.
Il trust è un istituto nobile che deve entrare nel patrimonio di molti professionisti, ma non è un prodotto per accalappiare un cliente.