Non c’è pace per la deducibilità degli interessi passivi relativi a tributi
di Luca Caramaschi
Il tema della deducibilità degli interessi passivi collegati al ritardato versamento dei tributi (fenomeno assolutamente frequente anche e soprattutto per la possibilità di fare ricorso allo strumento del ravvedimento operoso) è stato nel tempo oggetto di interpretazioni non sempre univoche da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Dopo che negli ultimi anni la situazione pareva – anche in ragione dei principi espressi a più riprese dalla Corte di Cassazione – aver subito un assestamento nella direzione di una sostanziale deducibilità (salvo talune fattispecie per le quali è prevista normativamente una specifica indeducibilità), l’Agenzia delle Entrate nel mese di gennaio 2014, in occasione di una risposta (la n. 18) fornita in occasione della manifestazione Telefisco a proposito dell’IMU, ha riaffermato l’indeducibilità in relazione agli “interessi e sanzioni dovute in caso di pagamento tardivo”.
Fortunatamente, con la successiva circolare, la n.10/E del 14 maggio 2014, che ha ufficializzato le risposte fornite dai funzionari in occasione di tale manifestazione, l’Agenzia non ripropone più alla risposta 8.2 il passaggio sopra menzionato.
Anche se il pericolo è “scampato”, quanto accaduto testimonia che la questione vive ancora un certo fermento dal punto di vista interpretativo.
Vediamo, quindi, da quali considerazioni muove l’assunto della indeducibilità di tali componenti ai fini reddituali e quali sono le pronunce che al contrario ne hanno affermato la piena deducibilità.
Partiamo da una prima considerazione: una delle rare norme che sancisce in modo esplicito l’indeducibilità di oneri assimilabili agli interessi per tardivo versamento d’imposte è l’art. 66 comma 11 del D.L. 331/1993, che fa riferimento alla nota maggiorazione dell’1% da applicare ai versamenti dei contribuenti IVA trimestrali. In relazione a tale componente, quindi, nessun dubbio sussiste in relazione al fatto che lo stesso debba considerarsi pienamente indeducibile ai fini reddituali.
Con riferimento agli interessi maggiorativi dei tributi (siano essi derivanti da iscrizione a ruolo, da rateazione o altro) l’Amministrazione finanziaria ebbe in passato a pronunciarsi con la circolare n.7/1496 del 30 aprile 1977 sostenendo che tali interessi sono deducibili nella stessa misura in cui lo sono i relativi tributi. Ed essendo generalmente i tributi non deducibili in base alla previsione attualmente contenuta nel comma 1 dell’art.99 del TUIR, la conseguenza appare immediata. Se non che tale principio è stato smentito fin da subito dalla Corte di Cassazione con la successiva sentenza n. 2440 del 1984, nella quale viene affermato che “se è vero che per il diritto comune la disciplina giuridica del debito accessorio è quella del debito principale, è altrettanto vero che ciò vale per la regolamentazione privatistica dei rapporti fra le parti, nel senso che ogni disposizione regolamentante l’obbligazione principale si estende anche in quella accessoria (…)” e che “lo stesso principio non può invece applicarsi nel campo pubblicistico, specie in quello tributario, al quale non possono estendersi, in tutto e per tutto, i principi del diritto comune, trattandosi di un diritto speciale che regolamenta rapporti del tutto diversi”.
Sempre la Cassazione poi, con la sentenza n.18173 del 2002, aveva, con riferimento alle diverse tipologie di interessi sui debiti tributari, affermato che la disciplina generale dell’art. 63 del TUIR (oggi art.96) “non pone alcun limite alla deducibilità degli interessi passivi in funzione (…) dell’onere di cui sono accessori” anche perché sarebbe “del tutto incoerente ed ingiustificato – anche sul piano costituzionale – che gli interessi attivi sui crediti di imposta che sono componenti positivi di reddito come tali tassabili quando vengono percepiti dall’imprenditore non potessero assurgere a componenti negativi di reddito come tali deducibili quando dal medesimo imprenditore sono pagati per identica causa giuridica”.
In linea con tali principi si è posta anche Assonime nella circolare n. 13 del 2001, che commentando la circ. n.9 del 1991 con riferimento agli interessi per il pagamento rateale dell’imposta sostitutiva sulle rivalutazioni dei beni d’impresa afferma che “tali interessi devono ritenersi deducibili nei modi ordinari”.
Revirement che a un certo punto pare colpire anche la stessa Agenzia quando con la risoluzione n.178/E del 09 novembre 2001 chiarisce che “considerato che il sistema normativo del TUIR riconosce l’autonomia della funzione degli interessi passivi, la loro deducibilità deve essere determinata solo applicando le modalità di calcolo dettate dall’articolo 63 al loro ammontare complessivo, indipendentemente dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili”.
È però con la successiva risoluzione n.228/E del 21 agosto 2007, relativa ai vari aspetti connessi con il tardivo versamento di oneri doganali, che l’Agenzia, occupandosi degli interessi dovuti torna ad affermare che essendo accessori al tributo “ne seguono le vicende tributarie per ciò che concerne la deducibilità”.
Ecco che la risposta fornita a Telefisco, ancorché “ritrattata” nella successiva C.M. 10/E/2014, non fa altro che aumentare la confusione: ciò per il fatto che, stabilendo l’indeducibilità degli interessi per tardivo versamento dell’IMU (che è bene notare è un’imposta deducibile, seppur parzialmente ed in casi delimitati), supera addirittura la rigida e penalizzante posizione espressa con la già richiamata circolare n.71496 del 1977.
Va da ultimo osservato come, sulla base di quanto ribadito sia dalla C.M. 19/E/2009 che da Assonime con la circ. 46 del 18.11.2009, rimangono estranei alla disciplina contenuta nell’art. 96 del TUIR (deducibilità nel limite del 30% del ROL) quei componenti reddituali che, pur avendo giuridicamente natura di interessi, non sottendono alcun rapporto di finanziamento volontariamente posto in essere dall’impresa (cioè non sono interessi corrispettivi): nell’ultimo documento richiamato si citano gli interessi di mora attivi e passivi per il ritardato pagamento di debiti pecuniari e gli interessi compensativi per il ritardato pagamento delle imposte.
Vista, quindi, la frequenza di tali oneri nei bilanci delle imprese, anche in ragione del periodo di difficoltà economica che favorisce fenomeni di differimento nel versamento dei tributi, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore volto ad affermare in modo inequivocabile la regola di una loro generale deducibilità, attesa la loro riconducibilità alla sfera imprenditoriale.