26 Luglio 2014

Detrazione Iva per mancati incassi da procedure concorsuali

di Davide David
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Con cadenza periodica (ad esempio, una volta all’anno) è opportuno effettuare un controllo contabile delle fatture emesse nei confronti di soggetti incorsi in procedure concorsuali o esecutive, al fine di verificare la possibilità di portare in detrazione l’IVA a suo tempo fatturata.

È anche buona norma distinguere contabilmente i crediti verso i suddetti soggetti in due conti, uno dedicato all’ammontare dei corrispettivi maturati e uno dedicato all’ammontare vantato in via di rivalsa per l’IVA fatturata su tali corrispettivi. Ciò in quanto le due tipologia di crediti possono avere, sia ai fini di bilancio che ai fini fiscali, sorti diverse. In particolare, il credito per i corrispettivi è potenzialmente soggetto a eventuali svalutazioni o a storni per perdite su crediti, mentre il credito per IVA può comunque essere recuperato, sotto forma di detrazione, anche in caso di mancato incasso del credito per i corrispettivi.

Per l’IVA l’art. 26, comma 2, del D.P.R. 633/1972, statuisce infatti il diritto per il cedente del bene o prestatore del servizio di portare in detrazione (in tutto o in parte) l’imposta esposta in fattura, qualora l’ammontare imponibile (cioè il corrispettivo della cessione o della prestazione) venga ad annullarsi (o a ridursi) “per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose”.

Le procedure concorsuali che certamente consentono il diritto alla detrazione (in caso di infruttuosità) sono:

  • il fallimento;
  • il concordato fallimentare;
  • il concordato preventivo;
  • la liquidazione coatta amministrativa.

Non è invece ricompresa tra le procedure che danno il diritto a portare in detrazione l’IVA, almeno secondo l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria, l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Relativamente agli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis della legge Fallimentare), rimane incerta la possibilità di collocarli tra le “procedure concorsuali”. Tant’è che, ai fini della deduzione delle perdite su crediti, l’art. 101 del TUIR pone gli accordi di ristrutturazione dei debiti accanto alle procedure concorsuali, con ciò distinguendoli dalle procedure stesse. Da ciò consegue l’incertezza sulla possibilità di ricomprendere gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra le ipotesi che consentono di beneficiare del diritto alla detrazione dell’IVA “per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali”. Al più la variazione potrebbe trovare la sua giustificazione per un “sopravvenuto accordo fra le parti”. A norma del comma 3 dell’art. 26 del D.P.R. 633/1972 tale variazione può però essere operata unicamente entro “un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile”, il che la rende in pratica inattuabile in ipotesi di accordi di ristrutturazione dei debiti, poiché, per logica, il più delle volte l’omologa avviene oltre l’anno dalla effettuazione dell’operazione.

Tornando alle procedure concorsuali che consentono il diritto alla detrazione dell’IVA, va segnalato che secondo l’Amministrazione finanziaria (cfr. circolare n. 77/E del 17.04.2000) possono esercitare tale diritto i soli cedenti o prestatori che hanno concorso alla procedura. Da ciò consegue che presupposto per la detrazione dell’IVA è l’ammissione allo stato passivo del fallimento ovvero l’inserimento nell’elenco dei creditori del concordato preventivo.

Altro presupposto per il recupero dell’IVA è che questa risulti da una fattura regolarmente emessa e registrata. Di conseguenza, non possono beneficiare della detrazione i soggetti che hanno certificato i corrispettivi con altri mezzi (in particolare, scontrini e ricevute fiscali).

Per quanto poi concerne il momento nel quale sorge il presupposto della infruttuosità delle procedure concorsuali (essenziale per poter operare la detrazione dell’IVA), questo è da far coincidere (secondo quanto anche indicato nella circolare n. 77/E del 2000):

  • per il fallimento, con la scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni al piano di riparto, ovvero, se il fallimento si chiude senza un piano di riparto, con la scadenza del termine entro il quale è possibile proporre reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura;
  • per il concordato fallimentare, con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione;
  • per la liquidazione coatta amministrativa, con l’approvazione del piano di riparto.

Un discorso a parte va fatto per il concordato preventivo. Nella richiamata circolare n. 77/E del 2000 è detto che in tale ipotesi il diritto alla detrazione spetta ai soli creditori chirografari e solo dal momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato. In caso poi di fallimento per mancato adempimento degli obblighi assunti, il diritto alla detrazione sorge secondo i principi enunciati per il fallimento.

La citata circolare è tuttavia antecedente alla più recente riforma della legge fallimentare, a seguito della quale non è più prevista una attestazione di adempimento degli obblighi concordatari e il concordato preventivo si considera chiuso con il decreto di omologazione. Inoltre, la proposta di concordato può ora prevedere anche il non integrale soddisfacimento dei creditori privilegiati (i quali anche dovrebbero quindi avere diritto al recupero parziale dell’IVA). Da ciò consegue la necessità di nuove indicazioni da parte dell’Agenzia delle entrate che tengano conto della nuova situazione normativa.

Per le procedure esecutive il presupposto della infruttuosità viene ad esistenza, secondo l’Amministrazione finanziaria, quando il credito del cedente o prestatore non trova soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni esecutati oppure quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura esecutiva l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione.

Non è quindi sufficiente a consentire la variazione dell’IVA la sola notificazione del titolo esecutivo.

Non è inoltre consentita la variazione IVA in caso di impossibilità di esperire l’azione esecutiva (ad esempio, per irreperibilità del debitore).

Per quanto concerne il termine entro il quale è possibile esercitare il diritto alla detrazione statuito dall’art. 26, comma 2, del D.P.R. 633/1972, l’Amministrazione finanziaria ha sostenuto che per effetto del combinato disposto del richiamato art. 26 e dell’art. 19 del medesimo decreto, tale diritto deve essere esercitato “al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto” (cfr. ris. 85/E del 31.03.2009), dovendo intendersi, per verifica del presupposto, il momento in cui risulta definitivamente acclarata la infruttuosità della procedura concorsuale o esecutiva.

Dal punto di vista formale, ancorché la normativa di riferimento non preveda particolari obblighi documentali, è opportuno (giusto anche quanto indicato dalla prassi ministeriale) che il fornitore emetta una nota di variazione correlata alla fattura originaria, con indicate le sue generalità e quelle del cliente, la quantità e la qualità dei beni ceduti o delle prestazioni rese, l’ammontare dell’imponibile e dell’IVA originariamente fatturati nonché le variazioni sia dell’imponibile che dell’IVA operate in conseguenza del mancato pagamento. Non è invece consentito emettere una nota di variazione per la sola IVA, tralasciando la variazione dell’imponibile (cfr. risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 127/E del 3.04.2008). Nella nota di variazione andrà altresì evidenziato che trattasi di variazione operata per mancato pagamento del corrispettivo a causa di procedura (concorsuale o esecutiva) rimasta infruttuosa, specificando gli estremi identificativi della procedura e gli elementi acclaranti la definitiva infruttuosità.

La nota di variazione va annotata nel registro IVA degli acquisti, ovvero, in alternativa, può essere annotata in rettifica nel registro dei corrispettivi o in quello delle fatture emesse.