Incostituzionalità della soglia di rilevanza penale per gli omessi versamenti IVA ante D.L. 138/2011
di Niccolò Di Bella
Nell’intento di reprimere i reati tributari attraverso un inasprimento dell’apparato sanzionatorio, sostanziale e processuale, il D.L. 138/2011 ha operato una “mini-riforma” prevalentemente consistente nell’abbassamento delle soglie di punibilità che caratterizzano i reati in materia di dichiarazioni contenuti nel D.Lgs. 74/2000.
Tra questi, per i fini che qui ci interessano, vi rientrano:
- l’art. 4, rubricato “Dichiarazione infedele”, che a seguito dell’intervento del suddetto D.L. 138/2011 ha visto un abbassamento della soglia relativa all’imposta evasa dai precedenti € 103.291,38 agli attuali € 50.000 (soglia che deve concorrere insieme al complessivo ammontare degli elementi attivi sottratti ad imposizione – anche mediante elementi passivi fittizi – superiori a 2 milioni di euro, o qualora siano di valore uguale o superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione);
- l’art. 5, legato alla “Omessa dichiarazione”, che a seguito dell’intervento del D.L. 138/2011 ha visto un abbassamento della soglia relativa all’imposta evasa dai precedenti € 77.468,53 (vecchi 150 milioni di lire) agli attuali € 30.000 per ogni singola imposta.
Si rammenta che per espressa previsione normativa le modifiche in questione sono applicabili esclusivamente ai fatti successivi alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione, avvenuta in data 17 settembre 2011, né potrebbe essere diversamente, trattandosi di modifiche di segno sfavorevole per il reo (l’abbassamento della soglia corrisponde, infatti, ad un ampliamento dell’area di rilevanza penale).
Ora soffermiamoci sull’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000, relativo all’Omesso versamento IVA; tale reato, introdotto con il D.L. 223/2006, diversamente da quelli sopra citati, non è stato oggetto di rivisitazione da parte del D.L. 138/2011 e individua in € 50.000 la soglia di imposta dichiarata ma non versata oltre la quale la condotta ha rilevanza penale.
Notate qualcosa di strano?
Da un confronto delle due disposizioni sarà inevitabile giungere alla conclusione a cui – correttamente – è giunta la Corte Costituzionale con la Sentenza n. 80 del 7.04.2014: l’irragionevolezza, che la Consulta ha tradotto in incostituzionalità, dell’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi fino all’entrata in vigore della Legge di conversione del D.L. 138/2011 (lo si rammenta, 17 settembre 2011), punisce l’omesso versamento IVA dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale per importi non superiori ad € 103.291,38 per ciascun periodo d’imposta.
Lungi dal voler giudicare l’efficacia e/o la coerenza delle soglie indicate dal Legislatore in rapporto all’intento repressivo che ha ispirato l’intero impianto del D.Lgs. 74/2000 (e prima ancora, la Legge 516/1982 ribattezzata “manette agli evasori”), è indubbio che l’omesso versamento Iva, caratterizzato dal mancato pagamento di quanto risultante dalla dichiarazione correttamente presentata, risulta, se così si può dire, “meno grave” della condotta perpetrata dal classico evasore che tende a nascondere l’effettiva base imponibile, o di colui che, ancor peggio, tenta addirittura di sfuggire dall’alveo di coloro che possono essere considerati come “contribuenti” (nel caso di dichiarazione omessa).
Ben ha fatto pertanto la Consulta, con la Sentenza in commento, a cogliere un’illogicità che conduceva a ritenere perfino migliore – nell’ottica del reo – non presentare la dichiarazione o presentarla non veritiera, piuttosto che essere fedeli nelle indicazioni e mancare di versare quanto dovuto.
L’intervento della Consulta, equivalendo a una modifica normativa, ha quale effetto la riconducibilità del delitto ex art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000 in un regime più “soft”, propendendo per l’applicazione del favor rei nella soluzione di tutti quei casi in cui la decisione di condanna non sia ancora passata in giudicato; in tutti questi casi, infatti, si determinerà la salvezza per quei mancati pagamenti per importi superiori a € 50.000 ma inferiori a € 103.291,38, concernenti i periodi di imposta ancora accertabili in virtù del raddoppio dei termini e fino all’anno di imposta 2009 (escludendo il 2010 che, considerando il momento consumativo del reato alla scadenza riferibile al 27 dicembre 2011, rientrerebbe già nel nuovo regime introdotto con la riforma del 2011).