C’è proprio bisogno degli studi di settore?
di Giovanni Valcarenghi
Tra persone civili e di buon senso, credo si possa tranquillamente affermare che un qualsiasi adempimento possa essere svolto (magari non sempre senza fatica) con un minimo di serenità quando se ne comprende l’utilità o il senso. Questa caratteristica comincia a difettare sempre più negli studi di settore che, se da un alto hanno svolto un’innegabile funzione di “traino dei ricavi” negli anni passati, oggi prestano il fianco ad una sempre crescente irrazionalità, tanto da far credere che chi li governa abbia veramente perso il timone. Ci sarebbe, insomma, da prendere atto che poiché nessuno è eterno, anche Gerico ha raggiunto l’età pensionabile e merita un po’ di riposo.
Ne sono recente testimonianza non solo i “pasticci” sui programmi di controllo verificatisi nei giorni scorsi e le continue modifiche ai software, ma, soprattutto, le evidenti schegge di follia (si scusi il riferimento alla rubrica del noto settimanale enigmistico, certamente più lieto ed interessante ed anche meno complicato di un modello Unico) che si producono in relazione agli indicatori di normalità economica.
Va detto, per rammentare brevemente le origini di tali parametri, che i medesimi furono introdotti per cercare di ostacolare compilazioni non ortodosse del modello ed, in particolar modo, del quadro degli elementi contabili. Compresa la loro natura, si assiste nel tempo ad un percorso inverso, per cui l’indicatore conduce a risultati irrazionali non a causa del comportamento dell’operatore, bensì delle regole che ne governano il funzionamento.
Chi segue società immobiliari (ma il problema si pone a tutto tondo) avrà certamente notato la frequenza con cui si presenta l’anomalia dell’indice “incidenza dei costi residuali di gestione sui ricavi”. Non vale la pena di ricercare subito errori di compilazione o comportamenti patologici del contribuente, bensì è sufficiente rammentare l’impatto della deducibilità del 30% dell’IMU riferita ai fabbricati strumentali.
Della questione si è avveduta anche l’Agenzia delle entrate che, con circolare 20/E/2014, fornisce le seguenti spiegazioni:
- l’indicazione di tale importo, se di valore elevato, potrebbe determinare valori ingiustificati nel calcolo del citato indicatore “Incidenza dei costi residuali di gestione sui ricavi” (per fortuna, se ne sono accorti; peraltro c’era già il precedente della deduzione dell’IRAP, come indicato nella circolare 23/E/2013);
- un valore elevato dell’IMU deducibile non può essere considerato “in linea generale” sintomatico di una situazione di non corretta indicazione dei dati previsti dai modelli degli studi di settore. Ciò in ragione anche del fatto che le soglie di normalità relative a tale indicatore non tengono conto della possibilità di indicare il citato ammontare dell’IMU, in quanto sono state individuate sulla base di periodi d’imposta per i quali tali importi non erano deducibili dal reddito (bene, non sono “anormale”; probabilmente è anormale l’indicatore, in quanto elaborato su dati difformi. Quindi, verrebbe da dire, a cosa serve? Solo a complicare la vita?);
- mutuando quanto già indicato nella circolare 29/E/2009 in relazione alle perdite su crediti, in presenza di una eventuale segnalazione di non normalità del dato dichiarato il contribuente potrà rimodulare il valore relativo al denominatore, depurandolo dei valori riferibili alle citate deduzioni. Di ciò è opportuno che sia dato riscontro nell’apposito riquadro “note aggiuntive” di GE.RI.CO.
Detto ciò, proviamo a tirare le conclusioni del ragionamento. Gerico è ormai divenuta una macchina infernale fuori controllo, minimamente governabile solo con grande pazienza e tante “sterilizzazioni” e “annotazioni”. Preso atto di ciò, gli vogliamo davvero attribuire quella fantomatica capacità di selezione dei contribuenti in posizione anomala? Siamo davvero certi che sia corretto che sia il contribuente a dover dimostrare, un indomani, il motivo per cui produce ricavi o compensi disallineati rispetto a quelli prodotti dal software?
Ho il timore che si tratti di inutili chiacchiere; tra qualche anno, chi verrà convocato per il contraddittorio, si scorderà la non normalità dovuta all’IMU e all’IRAP, così come non avrà memoria delle circolari che giustificano l’inadeguatezza del risultato. Peraltro, ove vi fosse il collega preciso che tutto ricorda e tutto archivia, ci sarà qualcuno che affermerà con voce calma “non siamo obbligati a rispettare le circolari, lo ha detto anche la Cassazione”.