Le ultime pronunce in tema di crisi di liquidità dell’imprenditore e omesso versamento delle imposte
di Luigi Ferrajoli
Le ultime pronunce della Corte di Cassazione in materia di omesso versamento delle imposte a causa della mancanza di liquidità da parte dell’imprenditore confermano la tendenza altalenante già riscontrata sul tema.
In due recentissime sentenze, la medesima sezione III della Suprema Corte in un caso assolve un imprenditore dal reato p. e p. dall’articolo 10 ter D.Lgs. 74/2000 per non avere versato l’IVA, mentre nel secondo caso, sempre con riferimento alla medesima fattispecie di reato, rigetta un ricorso avverso un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca.
Con riferimento alla prima vicenda, la Cassazione con la sentenza n.27676 del 08/4/2014 depositata il 26/6/2014 accoglie il ricorso di un imprenditore, condannato dalla Corte di Appello di Ancona per avere omesso il versamento dell’IVA, che aveva basato la propria difesa sulla mancanza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo specifico.
L’imputato aveva eccepito che dalla documentazione prodotta sarebbe emersa la prova di come il medesimo non avesse coscientemente e volontariamente omesso di versare le somme relative all’IVA, ma che, per la difficoltà finanziaria della società da lui rappresentata, non si sarebbe trovato nella condizione di potere effettuare i versamenti degli importi risultanti dalle relative dichiarazioni.
Secondo il ricorrente, non risulterebbe quindi integrato il dolo tipico del reato, stante l’effettiva mancanza di volontà dell’omissione.
La Cassazione accoglie tale tesi, annullando con rinvio la sentenza della Corte di appello che aveva ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato con una motivazione apodittica e meramente apparente, equiparando in concreto la fattispecie di cui all’articolo 10 ter D.Lgs. 74/2000 ad un reato punibile a titolo di responsabilità oggettiva senza considerare che, trattandosi di delitto, è necessaria la prova della sussistenza dell’elemento psicologico costituito dal dolo, sia pure generico.
La Cassazione non entra nel merito delle questione, limitandosi ad una rassegna delle ultime pronunce in materia di incidenza della crisi dell’impresa sul reato in esame, richiamando, tra le altre, la sentenza n. 5467 del 5/2/2014 che ha affermato che, nei casi di mancato versamento, non si può escludere in astratto l’assenza di dolo o l’assoluta impossibilità di assolvere all’obbligazione tributaria per la crisi di liquidità, occorrendo anche provare la non imputabilità al contribuente della crisi e che detta crisi non può essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, a idonee misure, sempre da valutarsi in concreto.
Con la sentenza n. 23532 del 14/5/2014, depositata il 5/6/2014, la Cassazione conferma il decreto di sequestro preventivo sui beni di un imprenditore in relazione ai reati di cui agli articoli 10 bis e 10 ter D.Lgs. 74/2000, rigettando il ricorso dell’imputato nel quale era eccepita l’omessa valutazione della circostanza della mancanza di liquidità della società, che non sarebbe dipesa da una cattiva gestione dell’impresa da parte dell’amministratore, ma da fattori del tutto indipendenti dalla volontà del medesimo. Di conseguenza si sarebbe dovuta escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
La Cassazione in questo caso adotta la tesi già formulata anche dalle Sezioni Unite, secondo cui, poiché molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. 74/2000 richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, mentre questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo degli articoli 10 bis e 10 ter D.Lgs. 74/2000, i reati in questione devono ritenersi punibili a titolo di dolo generico.
Secondo i Giudici, nessuna conseguenza può discendere, in termini di punibilità, dalla circostanza che “il mancato pagamento dei creditori diversi dall’Erario sia stato ritenuto necessario in quanto si è ritenuto di dover prioritariamente pagare altri creditori, tra cui i fornitori, per scongiurare il fallimento della società. E ciò sia perché il fallimento avrebbe ben potuto essere richiesto dallo stesso Erario proprio in relazione ai crediti tributari, sia perché la semplice necessità di scongiurare il fallimento non è sufficiente ad integrare l’ipotesi di forza maggiore sopra delineata”.
Pertanto, per la commissione di tali reati deve ritenersi sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, con la precisazione che tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia punitiva di Euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore.