La “vera” associazione sportiva dilettantistica si difende con i fatti
di Guido MartinelliMarta Saccaro
A causa della farraginosa normativa fiscale e contabile applicabile alle associazioni sportive dilettantistiche il contenzioso che riguarda questi enti è, per forza di cose, il più delle volte indiziario. Gli Uffici emettono infatti i propri avvisi di accertamento sulla base degli elementi raccolti nel corso della verifica presso la sede dell’associazione. Come ormai ricordato più volte su queste colonne le sempre più numerose pronunce relative a sodalizi sportivi dilettantistici che la giurisprudenza tributaria ha reso pubbliche negli ultimi tempi hanno consentito di abbandonare contestazioni di natura meramente formale (quali quelle collegate al contenuto dello statuto – se più o meno aderente al dettato normativo) per concentrarsi su contestazioni di maggiore sostanza.
Gli avvisi di accertamento emanati nei confronti dei sodalizi sportivi dilettantistici sono essenzialmente di carattere induttivo e, quindi, fondano le proprie contestazioni su presunzioni che devono essere caratterizzate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza. Non sono quindi sufficienti presunzioni “semplici”, non dotate delle caratteristiche di cui sopra e, comunque, presunzioni diverse da quelle sulla base delle quali dato un fatto se ne debba desumere inequivocabilmente un solo altro.
Per rafforzare la propria tesi gli uffici cercano quindi di raccogliere il maggior numero di “prove” atte a testimoniare che sotto le spoglie dell’associazione sportiva dilettantistica si nasconda una vera e propria attività commerciale e che quindi le agevolazioni fiscali siano riconosciute indebitamente. Nello specifico, l’attività degli uffici punta, tra l’altro, a:
- reperire dimostrazione del fatto che il sodalizio non ha partecipato ad alcuna competizione o manifestazione sportiva (questo è indice della circostanza che all’associazione non interessa tanto praticare l’attività sportiva quanto fare frequentare i soci all’interno della propria struttura);
- verificare le forme di pubblicità utilizzate per divulgare l’attività svolta dall’associazione sportiva dilettantistica (sono sintomatici di un’offerta “commerciale” i volantini promozionali dell’attività o la proposta di forme di abbonamento a “prezzi” scontati, differenziati, per di più, sulla base dei diversi pacchetti proposti)
- sottoporre questionari ai frequentatori del circolo per acquisire la testimonianza in merito alla natura – vera o presunta – del sodalizio (non depone sicuramente a favore della natura non lucrativa del soggetto la circostanza che il soggetto interrogato si dichiari un “cliente” e non un socio).
In queste circostanze, la difesa dell’associazione deve necessariamente puntare a smantellare punto per punto le circostanze addotte dai verificatori al fine da dimostrare che, dato un fatto, non una e una soltanto può essere la conseguenza. Nella sostanza, quindi, si deve dimostrare che le presunzioni sulle quali si basa l’accertamento non sono “gravi, precise e concordanti”. Se ciò non accade il rischio è che l’accertamento venga confermato anche in sede contenziosa. E ciò che accaduto nella vicenda che ha interessato un’associazione sportiva dilettantistica che gestiva una palestra e di cui si dà atto nella sentenza n. 579 del 5 maggio 2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze. In tale pronuncia viene osservato che le contestazioni che hanno dato origine all’accertamento costituiscono “presunzioni applicate dall’Ufficio sulla base della gran messe di dati sopra illustrati, che lo hanno ragionevolmente indotto a concludere per la natura commerciale dell’ente: limitarsi ad affermare che la presunzione è priva di fondamento senza contestare la costruzione argomentativa che ne è alla base equivale a non formulare sostanzialmente alcuna contestazione”.
Pertanto, se da un lato è vero che le verifiche possono nascere dal “sospetto” che l’attività svolta dall’associazione non sia conforme alle regole – e non meriti il beneficio dell’applicazione di regole fiscali di favore è pur sempre vero che questa circostanza deve comunque essere sempre provata. Se il sodalizio ritiene che la prova fornita dall’Ufficio nel corso della verifica non sia conclusiva deve dimostrare l’errore in cui sono caduti gli accertatori, in applicazione anche di un principio di tutela di carattere generale, quello cioè indicato nell’art. 2697 del Codice civile in tema di inversione dell’onere della prova secondo il quale “chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.