Più agevole il calcolo dei proventi tassabili derivanti dalla partecipazione a fondi comuni di investimento
di Nicola FasanoCon il D. Lgs. n. 44/2014, entrato in vigore lo scorso 9 aprile, è stata data attuazione alla direttiva europea 2011/61/UE, riguardante il regime dei fondi comuni. Sotto il profilo fiscale, si è voluto uniformare il trattamento previsto per gli organismi esteri a quelli italiani. In particolare, con riferimento agli OICR non immobiliari, il decreto ha modificato l’art. 26-quinquies del D.P.R. n. 600/1973 (riguardante i fondi italiani) e l’art. 10-ter della legge n. 77/1983 (relativo a quelli esteri).
Va detto che, con riferimento a tali fondi, la principale distinzione che rileva sotto il profilo fiscale è quella che vede:
- da una parte i fondi armonizzati (conformi cioè alla direttiva 2009/65/CE) istituiti in Paesi UE o dello Spazio economico europeo “white list”, o “vigilati” in quanto, pur se non conformi alla citata direttiva, il gestore è soggetto a forme di vigilanza nel Paese estero nel quale è istituito ai sensi della direttiva 2011/61/UE;
- dall’altra parte gli altri fondi c.d. “non armonizzati” diversi da quelli indicati al punto precedente.
Ciò in quanto i proventi derivanti da fondi “armonizzati” o con gestori “vigilati” scontano la tassazione del 20% (26% a partire dal prossimo 1 luglio) sotto forma di ritenuta (a titolo di imposta se trattasi di persone fisiche, o a titolo di acconto se si tratta di imprese) in presenza di intermediario finanziario italiano, oppure sotto forma di imposta sostitutiva da liquidare direttamente nel Modello Unico.
I proventi derivanti da fondi non armonizzati o comunque diversi dai precedenti, invece, scontano una tassazione progressiva, concorrendo a formare il reddito imponibile del contribuente, da riportare nel rigo RL2 del Modello Unico.
Ciò premesso, la modifica più significativa inserita nell’art. 26-quinquies del D.P.R. n. 600/1973 e nell’art. 10-ter della L. n. 77/1983 è senz’altro quella che riguarda le modalità di determinazione dei proventi realizzati in caso di riscatto, liquidazione o cessione delle quote o azioni su cui va applicata la ritenuta o l’imposizione in dichiarazione. Nelle previgenti versioni, infatti era previsto che il reddito imponibile dato dalla differenza tra il valore di riscatto, di liquidazione o di cessione delle quote o azioni e il costo medio ponderato di sottoscrizione o acquisto delle quote o azioni doveva essere determinato assumendo quale valore di sottoscrizione o acquisto il valore (il c.d. NAV – “Net Asset Value”) “risultante dai prospetti periodici” al momento di sottoscrizione/acquisto. Adesso invece le citate norme, con una evidente semplificazione, non fanno più riferimento ai prospetti periodici, non sempre messi a disposizione da parte degli intermediar e di facile reperimento, ma prevedono che “il costo di acquisto deve essere documentato dal partecipante e, in mancanza della documentazione, il costo è documentato con una dichiarazione sostitutiva“.
Da ciò deriva che, in particolare per i fondi quotati (come gli ETF), in cui la differenza fra NAV e costo di acquisto e/o vendita è pressoché fisiologica, il risultato positivo fra costo di acquisto e valore di cessione/rimborso sia da considerarsi integralmente reddito di capitale (e non più, in parte, reddito diverso, in caso di disallineamento con il NAV).
In caso di risultato di gestione negativo, invece, detto risultato è imputato direttamente al partecipante sotto forma di minusvalenza (da indicarsi, in caso di regime dichiarativo, nel quadro RT di Unico e che è possibile, ricorrendo talune condizioni, scomputare da altri eventuali redditi diversi di natura finanziaria).
Da tale distinzione, peraltro, consegue una rilevante differenza per quello che riguarda gli oneri accessori (in particolare le commissioni) che è possibile portare a incremento del costo di acquisto al fine di ridurre la base imponibile: tali oneri infatti se possono essere considerati, come confermato dall’Agenzia delle entrate con la circolare 165/E/1998, nell’ambito dei redditi diversi (e dunque delle minusvalenze), non potranno essere invece computati in diminuzione del provento imponibile quando si tratta di redditi di capitale (e dunque di risultato di gestione positivo).
Da ultimo è opportuno segnalare come, in attesa di chiarimenti ufficiali sul punto, l’alternativa prevista dal d. lgs. 44/2014 dell’autocertificazione del costo da parte del contribuente deve essere ragionevolmente utilizzata come “extrema ratio” quando cioè non ci sia la presenza di un intermediario italiano che debba attestare il costo delle attività.