21 Giugno 2014

Ancora sulla tassazione del brevetto

di Giovanni Valcarenghi
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La scorsa settimana abbiamo analizzato la casistica di un soggetto privato che cede un brevetto incassando un corrispettivo rilevante, ponendoci l’interrogativo se tali somme dovessero, o meno, essere tassate.

In quella prima analisi avevamo ipotizzato una prima soluzione, tra le due che si contrappongono in dottrina, tesa a confermare la irrilevanza della somma in forza del fatto che la cessione non possa essere inquadrata tra le forme di sfruttamento economico del brevetto stesso (locuzione evocata dall’articolo 53 comma 2 del TUIR).

Vogliamo però completare il ragionamento, anche per dare conto di un parere indiretto rilasciato dall’Agenzia delle entrate, che giunge a conclusioni opposte e ben peggiori per il contribuente.

Abbiamo infatti intercettato una indicazione nel parere n. 32, rilasciato in data 4 ottobre 2006 dall’ormai soppresso Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive. Tale parere viene rilasciato in risposta ad una istanza di un professionista che aveva già ricevuto una indicazione contraria alla propria idea dalla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso.

Il parere non è interessante in quanto tale, poiché non giunge ad alcuna conclusione esplicita, ma risulta certamente utile in quanto dà conto del parere delle Entrate in merito alla vicenda in analisi. Dal testo, infatti, è possibile desumere quanto segue:

  • la questione verte sulla corretta interpretazione dell’art. 53, comma 2, lett. b) , del TUIR, poiché li sono collocati gli eventuali redditi derivanti dallo sfruttamento economico delle opere dell’ingegno a beneficio dell’autore
  • il contribuente (privato persona fisica) era titolare di un brevetto industriale ed intendeva alienarlo; ritenendosi “inventore non ricercatore”, riteneva che la transazione non dovesse generare alcun presupposto impositivo, fatta eccezione per quello relativo all’imposta di registro;
  • l’Agenzia delle entrate non ha condiviso le argomentazioni spiegate dall’istante, avendo diversamente ritenuto, in via preliminare, che, ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie, fosse necessario considerare sia la cessione sia la concessione in uso come due modalità alternative di utilizzazione economica di un brevetto per invenzione industriale;
  • sempre l’Agenzia, inoltre, ha poi osservato come l’interpretazione sistematica degli artt. 53, comma 2, lett. b) , 54, comma 8, e 67, comma 1, lett. g) , del T.u.i.r. conduca a qualificare i redditi dell’inventore derivanti dalla utilizzazione diretta (ossia, mediante cessione o concessione in uso) di un brevetto industriale, ove non conseguiti nell’esercizio di un’impresa commerciale, alla stregua di redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo.

Pertanto, quantomeno per le vie indirette, abbiamo compreso quale sia la tesi delle Entrate; tale indicazione, ovviamente, porta a concludere che l’inventore “occasionale” che ceda a terzi il proprio brevetto (o altra opera dell’ingegno) produce reddito assimilato a quello di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 53, comma 2 del TUIR.

Si potrebbe osservare che tale indicazione non è stata poi formalizzata in una risoluzione ufficiale, con la conseguenza che matura l’idea che non vi fosse pieno convincimento in ordine alle conclusioni raggiunte.

In definitiva, dunque, conglobando il caso controverso della scorsa settimana con quello odierno siamo giunti ad un punto morto: la casistica rimane certamente aperta e, ci auguriamo, potrà essere arricchita da eventuali contributi dei lettori. E’ tuttavia importante riscontrare come, in sede di eventuale accertamento, la posizioni “informale” sopra illustrata potrà essere fatta propria dai verificatori.