Rimborsi chilometrici ai soci dello studio associato
di Davide David
Alcuni Uffici dell’Agenzia delle entrate stanno disconoscendo, in sede di accertamento, la deducibilità dei rimborsi spese corrisposti dagli studi professionali ai propri associati per l’utilizzo delle loro autovetture.
In altri casi gli Uffici applicano ai rimborsi spese il limite di deducibilità previsto per i costi delle autovetture dall’art. 164 del TUIR (attualmente del 20%).
Si pone quindi il problema di capire se e in che termini i rimborsi spese riconosciuti agli associati possano essere portati in deduzione dallo studio associato.
La questione non risulta mai essere stata affrontata specificatamente dalla prassi di fonte ministeriale, mentre la dottrina più attenta si è orientata a riconoscere l’intera deducibilità dei suddetti rimborsi spese.
Come noto, la determinazione del reddito di lavoro autonomo (ivi compreso quello derivante dall’esercizio in forma associata) è disciplinata specificatamente dall’art. 54 del TUIR.
In via di principio, a norma del comma 1 di detto articolo i titolari di redditi di lavoro autonomo (ivi compresi gli studi associati) possono portare in deduzione nel singolo periodo di imposta le “spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi”.
Per i lavoratori autonomi trova però anche applicazione l’art. 164 del TUIR, contenente disposizioni generali per i veicoli “utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni, ai fini della determinazione dei relativi redditi” (così il comma 1).
In forza della lettera b) del comma 1 del richiamato art. 164, le spese relative alle autovetture utilizzate nell’esercizio di attività di lavoro autonomo:
- possono essere portate in deduzione in una determinata percentuale (attualmente del 20%);
- senza tenere conto della parte di costo eccedente euro 18.075,99 (o della corrispondente parte in caso di leasing o noleggio).
La medesima lettera b) statuisce anche che “se l’attività è svolta da società semplici e da associazioni di cui all’art. 5, la deducibilità è consentita soltanto per un veicolo per ogni socio o associato” e che, in tale ipotesi, i limiti di costo di cui sopra “sono riferiti a ciascun socio o associato”.
La questione ora verte sulla applicabilità o meno della norma generale contenuta nell’art. 164 del TUIR alle autovetture intestate ai singoli associati dello studio (e non allo studio associato).
A tale riguardo occorre evidenziare che, per quanto concerne la intestazione dei veicoli agli studi associati, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con la circolare n. 51431 dell’11.06.2010, ha fornito le seguenti indicazioni: “Per giurisprudenza ormai consolidata, gli Studi associati, ancorché privi di personalità giuridica, costituiscono forme di aggregazione di interessi assimilabili alle associazioni non riconosciute (v. Cass. Civ., Sez. III, 13.04.2007, n. 8853). Pertanto, ricorrono i presupposti per poter procedere alla intestazione della carta di circolazione direttamente a nome della Studio associato, con riferimento alla relativa sede, nella persona che ne ha la legale rappresentanza”.
A rigor di logica, tenuto conto di tale specifica, sembrerebbe quindi potersi affermare che l’art. 164 del TUIR trovi applicazione per le sole autovetture con carta di circolazione intestata allo studio associato e non anche per quelle intestate direttamente agli associati.
Un altro aspetto che può avere una certa rilevanza ai fini di cui trattasi riguarda la scheda carburante che, come noto, costituisce il documento fondamentale per la deduzione del costo del carburante (anche dal reddito di lavoro autonomo) e per la detrazione della relativa IVA.
Come riscontrabile dal D.P.R. n. 444 del 10.11.1997 (regolamento sulle annotazioni da apporre sulla scheda carburante) nonché dai relativi documenti di prassi (in particolare la circolare n. 205/E del 12.08.1998) la scheda carburante riguarda i soli “soggetti all’imposta sul valore aggiunto” (i quali, in alternativa, possono documentare il costo mediante carta di credito) e deve riportare, tra le altre indicazioni, “il numero di partita IVA del soggetto d’imposta che acquista il carburante”.
Invero, la prassi di fonte ministeriale ha esteso l’uso della scheda carburante anche per le autovetture di proprietà dei dipendenti utilizzate per conto del datore di lavoro, indicando i dati del dipendente e del datore e i chilometri percorsi per conto del datore (circolare n. 39 del 13.07.1977, confermata dalla circolare n. 205/E del 12.08.1998). Ma è da ritenere che tale specifica deroga, riconosciuta solo in via interpretativa, non possa essere a sua volta estesa ad altre fattispecie e, in particolare, al caso degli associati che utilizzano la propria autovettura anche a fini professionali.
Parrebbe quindi che per gli studi associati la scheda carburante possa essere utilizzata dagli studi stessi (in qualità di soggetti IVA) per i soli riferimenti delle autovetture intestate direttamente allo studio e non per i rifornimenti delle autovetture intestate personalmente ai singoli associati (privi di una loro posizione IVA).
Anche tale aspetto sembra quindi far propendere per la applicabilità dell’art. 164 del TUIR alle sole autovetture intestate allo studio associato (o, al limite, oltre a queste, a quelle dei dipendenti dello studio per la deduzione del costo del carburante). Non pare infatti avere senso considerare applicabile l’art. 164 del TUIR anche alle autovetture intestate agli associati in quanto, in buona sostanza, i relativi costi di utilizzo (in primis il costo del carburante) non sono direttamente riferibili allo studio associato e quindi non possono essere portati direttamente in deduzione dallo studio stesso.
Di conseguenza, per la deducibilità delle spese riferibili all’utilizzo delle autovetture degli associati parrebbe doversi fare riferimento ai soli principi e alle sole regole riscontrabili nell’art. 54 del TUIR.
Come prima ricordato, in base a tale articolo le spese sono, in via di principio, deducibili quando risultano sostenute nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo che non rientrino in una delle deroghe ai principi generali contenute nello stesso art. 54.
Se non rientrano in una delle deroghe, le spese sono quindi deducibili quando sussistono le seguenti condizioni:
- inerenza all’esercizio dell’arte o professione;
- effettività del pagamento (principio “di cassa”);
- adeguata documentazione.
Non essendo contemplate in una delle deroghe ai principi generali, le spese per l’utilizzo da parte degli associati delle loro auto nello svolgimento degli incarichi professionali dovrebbero quindi essere deducibili (da parte dello studio associato) alla sola condizione che siano inerenti, effettivamente sostenute e adeguatamente documentate.
Orbene, per quanto attiene all’inerenza, l’utilizzo dell’auto da parte degli associati per i viaggi effettuati nello svolgimento dei loro incarichi professionali è certamente funzionale (e quindi inerente) all’attività dello studio associato e alla produzione del relativo reddito.
Per quanto concerne la spesa sostenuta è da ritenere che questa vada identificata nei rimborsi riconosciuti e corrisposti dallo studio ai propri associati a rifusione dei costi da costoro direttamente sopportati per l’utilizzo delle loro auto nell’effettuazione dei viaggi di lavoro. La spesa risulta quindi adeguatamente documentata dalle distinte di rimborso presentate dagli associati, con indicazione dei viaggi effettuati, delle relative motivazioni e dei chilometri percorsi.
Non va poi sottaciuto il fatto che gli associati dello studio assumono, in buona sostanza, anche il ruolo di amministratori dello stesso, con la conseguenza che potrebbero ritenersi applicabili ai rimborsi spese le regole statuite per gli amministratori di società. Si ricorda, a tale proposito, che a norma dell’art. 95, comma 3, del TUIR, i rimborsi spese riconosciuti agli amministratori per l’effettuazione di specifiche trasferte sono deducibili nei limiti dei costi di percorrenza relativi ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali (se a benzina) ovvero a 20 cavalli fiscali (se diesel).
Per quanto sopra, essendo inerenti, effettivamente sostenuti e adeguatamente documentati, i rimborsi spese riconosciuti e corrisposti agli associati dovrebbero quindi essere interamente deducibili da parte dello studio, a norma dell’art. 54 del TUIR (non trovando applicazione, al caso di specie, né le deroghe previste dallo stesso art. 54 né le deroghe previste per le autovetture dall’art. 164 del TUIR).
Ciò almeno per le spese rientranti nei limiti statuiti per i dipendenti e per gli amministratori di società dall’art. 95, comma 3, del TUIR, da ritenersi estendibili anche al caso degli associati in quanto “indici” di una mera rifusione dei costi sostenuti per l’utilizzo dell’autovettura.
In ogni caso, i rimborsi spese (almeno per la parte non eccedente i limiti di cui all’art. 95 del TUIR) non dovrebbero costituire reddito imponibile per gli associati, in quanto non conseguiti nell’ambito dell’esercizio “in proprio” di una attività di lavoro autonomo.
Certo è che, dato l’interesse che riveste per un gran numero di contribuenti, sarebbe quanto mai opportuno che l’Amministrazione finanziaria si pronunciasse sulla questione per dettare le sue linee guida, riconoscendo comunque la non accertabilità di eventuali comportamenti difformi dalla sua linea interpretativa, tenuti in buona fede sulla base di una diffusa prassi comportamentale avvalorata anche dalla dottrina più attenta.