La Cassazione si pronuncia ancora in tema di crisi di liquidità e reato di omesso versamento delle imposte
di Luigi Ferrajoli
Con due recenti e per certi versi analoghe pronunce la Corte di Cassazione è tornata a occuparsi della questione, sempre più diffusa in tempo di crisi, dell’omesso versamento delle imposte.
Per quanto concerne il reato di omesso versamento dell’IVA, previsto e punito dall’articolo 10 ter del D.Lgs. 74/2000, con la sentenza n. 19426 del 12/5/2014 la Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, ha innanzitutto evidenziato come, per la consumazione del delitto, “non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l’omissione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento”, data individuata dall’articolo 6, comma 2, L. 405/1990.
Passando poi a considerare l’elemento psicologico richiesto per la configurabilità della fattispecie incriminatrice, la Cassazione, richiamando quanto statuito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 37424 del 28/3/2013, ha sottolineato che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico, che deve peraltro riferirsi anche alla soglia di euro cinquantamila, elemento costitutivo del fatto.
In sostanza, secondo la pronuncia della Suprema Corte, il soggetto d’imposta, effettuando operazioni imponibili, riscuote già, dall’acquirente del bene o del servizio, l’IVA dovuta e deve perciò “tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria”.
Dopo avere rilevato la similitudine con quanto è previsto in materia di omesso versamento delle ritenute previdenziali, la Suprema Corte, pur riconoscendo che vi possano essere dei casi, in astratto, nei quali possa invocarsi l’assenza di dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria (in tali ipotesi l’apprezzamento del Giudice del merito, se adeguatamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità), afferma che “è tuttavia necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile, tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (non ultimo, il ricorso al credito bancario)”.
Tale esimente, vera e propria forza maggiore, impone a colui che intende avvalersene di dimostrare di avere fatto tutto il possibile, anche con azioni sfavorevoli per il proprio patrimonio personale, per adempiere alle proprie obbligazioni tributarie e di non esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili.
La Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi con riferimento a omessi versamenti, questa volta inerenti ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale, reato previsto e punito dall’articolo 10 bis del D.Lgs. 74/2000.
Con la sentenza n. 20266 del 15/5/2014, la Suprema Corte rileva che, anche in questo caso, il reato de quo è punibile a titolo di dolo generico e che la prova dell’elemento psicologico richiesto per la configurabilità del delitto è “insita nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi”.
Parallelamente a quanto statuito per l’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 10 ter del D.Lgs. 74/2000, il sostituto d’imposta ha l’obbligo di accantonare le somme dovute all’Erario, non potendosi invocare l’eventuale crisi di liquidità.
Secondo la Suprema Corte, il reato in esame, sotto il profilo dell’elemento psicologico, si connota per una condotta cosciente e volontaria che, progressivamente, si articola nelle seguenti fasi: a) mancato accantonamento delle somme trattenute; b) omesso versamento mensile; c) prosecuzione della condotta criminosa fino al termine ultimo fissato dalla norma incriminatrice.
Nel caso di specie, cassando la pronuncia di assoluzione del Giudice di primo grado che aveva assolto l’imputato dal delitto contestato, la Cassazione ha evidenziato come sia sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate e che, concretamente, vi siano spazi “ristretti” per poter sostenere l’assenza dell’elemento soggettivo ovvero la forza maggiore. A tale proposito, non rilevano né il fatto di aver ritenuto necessario pagare prioritariamente altri creditori per scongiurare l’eventuale fallimento, né l’esistenza di crediti verso terzi non esatti.