Retribuzioni convenzionali anche con datore di lavoro estero
di Nicola Fasano
Anche quando manca un sostituto di imposta italiano trovano applicazione le retribuzioni convenzionali. Lo conferma la risposta 1.5 della circolare 11/E/2014 dell’Agenzia delle entrate.
In particolare, il quesito riguarda un lavoratore dipendente, residente in Italia, che ha svolto, per un periodo superiore a 183 giorni, la prestazione lavorativa all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, in favore di un datore di lavoro estero. In particolare, è stato chiesto all’amministrazione finanziaria se anche in questo caso il dipendente è tenuto a dichiarare i redditi di lavoro prodotti all’estero, ai sensi dell’articolo 51, comma 8-bis, del Tuir, pur se il datore di lavoro è estero e non sia presente in Italia alcun soggetto che adempia, in suo favore, gli obblighi contributivi.
L’Agenzia delle entrate muove da quanto già precisato a suo tempo con la circolare 50/E/2002, par. 18, in cui si era concluso per l’applicazione delle retribuzioni convenzionali in relazione ad un dipendente italiano, fiscalmente residente in Italia, assunto presso una società tedesca e che aveva svolto in Germania l’attività per più di 183 nell’arco di dodici mesi. Le Entrate, pertanto, nella circolare 11/E/2014 confermano tale impostazione, ribadendo l’applicazione delle retribuzioni convenzionali anche quando non c’è alcun soggetto tenuto in Italia ad adempiere gli obblighi contributivi.
Diretta conseguenza di ciò, evidentemente, è che il dipendente (o meglio, il suo consulente), nel caso di specie, deve provvedere a determinare da sé le retribuzioni convenzionali di riferimento da indicare nel quadro RC del modello Unico (al netto, si deve ritenere, dei contributi obbligatori a suo carico trattenuti dal datore di lavoro estero), riproporzionando il credito per le imposte estere pagate a titolo definitivo nel quadro CR ai sensi dell’art. 165, Tuir e seguendo le indicazioni dettate dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 48/E/2013 (con tutte le criticità del caso, già analizzate in un precedente intervento).
Tuttavia, nella pratica, non è affatto semplice “inquadrare” il dipendente assunto con contratto estero in un Paese straniero nell’ambito delle nostre rigide categorie di contrattazione collettiva che sono alla base dell’individuazione della retribuzione convenzionale applicabile nel caso di specie (le retribuzioni convenzionali, infatti, come noto, sono stabilite annualmente con decreto ministeriale proprio sulla base di settori, qualifiche e fasce retributive previste dalla contrattazione collettiva).
La circolare 11/E/2014, peraltro, riguarda il caso in cui non sia presente in Italia alcun soggetto tenuto ad adempiere gli obblighi contributivi in Italia. E’ opportuno ricordare che, a tal proposito, l’articolo 23, comma 1-bis, D.P.R. 600/1973 stabilisce che il soggetto tenuto ad effettuare i versamenti previdenziali in favore del lavoratore è anche tenuto ad applicare le ritenute fiscali “in ogni caso”. Il legislatore ha inteso riferirsi, fra l’altro, alla fattispecie, abbastanza frequente, in cui un dipendente italiano sia assegnato all’estero in un Paese extra-UE previdenzialmente non convenzionato con l’Italia (come per esempio la Cina), presso una società estera (controllata per più del 20% da soggetti italiani o con sede, anche secondaria, in Italia) che ha l’obbligo, in base alle disposizioni della legge n. 398/1987, di nominare un rappresentante previdenziale in Italia, al fine di versare i contributi in Italia (sulla base delle retribuzioni convenzionali, come chiarito dall’Inps, seppur con aliquote ridotte) che si aggiungono a quelli pagati in loco, secondo la normativa del Paese estero.
In tali casi, qualora il dipendente continui ad essere fiscalmente residente in Italia, il rappresentante previdenziale italiano è tenuto ad eseguire oltre alle ritenute previdenziali anche quelle fiscali che calcolerà sempre sulla base delle retribuzioni convenzionali.