Presunzioni da black list
di Massimiliano Tasini
Di presunzioni tributarie stiamo scoppiando.
Tutti i giorni leggiamo interi manifesti dedicati alla Semplificazione.
Ma semplificare, obiettivo già di per sé pressoché impossibile, non basta.
Uno Stato di diritto deve fondarsi su certezze: se i contribuenti vanno continuamente soggetti ad accertamenti presuntivi perdono certezza, fiducia.
Le presunzioni sono in parte figlie di creazioni del Legislatore, in altra parte frutto di ragionamenti degli Uffici finanziari, in più di una occasione avallate dalla giurisprudenza, tanto che da questi ragionamenti nascono veri e propri “filoni” accertativi.
Desideriamo qui soffermarci su una delle tante presunzioni introdotte negli ultimi anni, ovvero quella introdotta dall’art. 12 del DL 78/2009.
La norma, dedicata alle persone fisiche, stabilisce che gli investimenti e le attività finanziarie detenuti in Paesi black list ai soli fini fiscali si presumono costituiti, salva prova contraria, con redditi sottratti a tassazione.
Detto in un altro modo, la norma significa: reddito = patrimonio.
Vorremmo distinguere il problema in tre parti.
La prima parte è appena ovvia: la norma ha una finalità sacrosanta, ovvero combattere il fenomeno della illecita detenzione di capitali all’estero. Su questo punto siamo talmente d’accordo che non occorre dire alcunché.
La seconda parte è: ma è una norma coerente? Si può davvero sostenere, senza sollevare dubbi sul piano della legittimità, che il capitale equivale al reddito? Ricordiamo a noi stessi che l’art. 6 comma 1 del D.L. 167/1990 già prevede, al di fuori del caso di specie, una presunzione di fruttuosità dei capitali detenuti in violazione dell’obbligo di monitoraggio, nella misura del tasso ufficiale di sconto (per farci un’idea: 3,9% per il 2008; 1% per il 2012).
Ma ci interessa soprattutto la terza parte, ovvero la formulazione della norma. Infatti, una volta scovato il patrimonio estero, non è dato sapere né quale sia l’anno accertabile, né ancora quale sia la categoria reddituale che l’Ufficio può ascrivere al contribuente.
Ci sembra inverosimile.
Questa estrema incertezza lascia gli Uffici finanziari arbitri di comportamenti divergenti, e tutti di per sé al contempo arbitrari e ragionevoli, a seconda dei punti di vista. Non è però possibile che non si sappia identificare l’anno di imposta da rettificare (quello di notifica del pvc? Di notifica dell’accertamento? Del documento rinvenuto e che proverebbe la illecita detenzione?), né di che reddito si tratti (di impresa, di capitali?), perché le conseguenze sono talmente rilevanti da non consentire un simile margine di indeterminatezza.
Se le norme sono incerte, l’interpretazione regna sovrana. Ciascuno può dire (quasi) tutto ed il contrario di tutto. Noi crediamo che questa situazione non piaccia nemmeno all’Agenzia delle Entrate, il cui lavoro non è (né può essere) volto ad accertare ad ogni costo, bensì ad accertare materia imponibile nella misura, nel tempo e nei modi che (solo) la legge deve prescrivere. Con chiarezza.
Nascono come norme di contrasto ai Paesi black list, ma in realtà sono così oscure da meritare di finire in una black list.