In materia di transfer pricing è dubbia la “riqualificazione” di un contratto di compravendita con dilazione di pagamento in operazione di finanziamento
di Davide De GiorgiRaffaello Fossati
Con la sentenza n. 231-06/2014 del 3 febbraio 2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Treviso ha chiarito che in materia prezzi di trasferimento, il rapporto contrattuale (nella specie: contratto di compravendita, con dilazione di pagamento), NON può essere “riqualificato” in “operazioni di finanziamento” sulla base di una presunta illiceità della causa contrattuale.
In base alle previsioni indicate dagli artt. 1344 e 1418 c.c. l’illiceità della causa “può, tutt’al più, determinare la nullità del relativo contratto sottostante, ma NON la conversione del contratto in frode alla legge in quello che costituisce il presupposto per l’applicazione della norma che le parti intendevano eludere”.
Più specificatamente i Verificatori contestavano al Contribuente, nell’effettuazione di vendite di merce nei confronti della controllata (USA), il mancato addebito degli interessi in relazione ai “mancati o ritardati pagamenti della merce”.
Senza nessuna specifica motivazione in merito, i Verificatori procedono con la ripresa a tassazione degli interessi attivi non addebitati e quantificati nella misura del 5,25% annuo calcolato sull’ammontare dei crediti commerciali (stessa percentuale applicata in una operazione di finanziamento intercorsa tra la ricorrente e altra società del Gruppo).
In relazione ad interessi attivi non dichiarati in violazione dell’art. 110, comma 7, del D.P.R. n. 917 del 1986, il Collegio ritiene ILLEGITTIMA la riqualificazione delle operazioni di compravendita, che sono state concluse con la controllata USA, in operazioni di finanziamento, stante:
- l’avvenuta e quindi REALE operazione di compravendita tra la ricorrente e la società americana (in tal senso non vi sono stati comportamenti simulatori e/o in frode alla legge);
- il ritardato e mai omesso pagamento, di quanto pattuito contrattualmente è stato causato da obiettive difficoltà finanziarie della controllata.
Sul primo punto si rammenta che a parere dei Verificatori l’assenza di revisioni o rinegoziazioni relative alle scadenze di pagamento, la mancanza di richieste di dilazione oppure di solleciti e/o di tentativi di recupero del credito entro le scadenze pattuite, dimostrano la volontà della verificata di lasciare a disposizione della controllata le somme dovute a pagamento delle fatture ed anche gli interessi maturati sulle stesse.
I Giudici, ritenendo idonei gli elementi di prova addotti dal Contribuente, chiariscono che i crediti in commento sono stati successivamente riscossi dalla ricorrente e ciò, a conferma dell’effettività delle operazioni di compravendita intercorse tra le due società.
In relazione al secondo punto, le obiettive difficoltà finanziarie sono confermate dal fatto che la società non è stata in grado di conseguire un volume d’affari sufficiente al raggiungimento del c.d. “break-even point”. L’andamento negativo, in questo senso, è esplicitato dai documenti di bilancio.
Infine, il Collegio si sofferma sul fondamentale canone ermeneutico fissato dall’art. 1362 c.c. in base al quale “nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti…”.