Prova ad ampio raggio contro il redditometro
di Nicola Fasano
Redditometro k.o. se il contribuente dimostra l’entità e la durata del possesso di redditi esenti o soggetti alla ritenuta alla fonte. Non è invece sufficiente, ai fini della prova contraria rispetto al reddito sintetico accertato dall’Ufficio, la documentazione della generica disponibilità di redditi legittimamente esclusi da tassazione ordinaria, per un ammontare tale da poter “fronteggiare” il maggior reddito presunto dall’Ufficio sulla base del “vecchio” redditometro. Sono queste le conclusioni che si possono trarre dalla sentenza della Cassazione n. 8995 del 18/4/2014.
Nel caso di specie, in particolare, i giudici d’appello, riformando la sentenza di primo grado, avevano concluso che l’Ufficio aveva errato nel considerare rilevante ai fini del redditometro un’autovettura che non era nella disponibilità del contribuente, e che, in ogni caso, il contribuente aveva dimostrato di avere avuto nella propria disponibilità, in relazione agli anni in questione (1998 e 1999), redditi esenti (o comunque, aggiungiamo noi, soggetti a ritenuta a titolo di imposta), derivanti da disinvestimenti azionari, per £ 51.100.000 e per £ 106.067.670.
L’Agenzia delle entrate aveva impugnato tale sentenza sostenendo che i giudici d’appello avevano errato nel ritenere sufficiente ad escludere la presunzione di maggior reddito la prova, fornita dal contribuente, della disponibilità, nel periodo in contestazione, di redditi esenti (nella specie, per disinvestimenti azionari) senza che risultasse altresì la prova che detti redditi erano stati effettivamente utilizzati per coprire le spese contestate sulla base del “vecchio” redditometro, ai sensi dell’art. 38, d.p.r. 600/1973 nella versione ante modifiche del d.l. 78/2010.
La Cassazione, ritiene fondata, entro certi limiti, la censura dell’amministrazione finanziaria. Secondo i giudici di legittimità, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia l’art. 38 citato prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione“.
La norma chiede dunque qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati.
La Cassazione inoltre aggiunge che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame (quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente).
Per suffragare ulteriormente tale impostazione, peraltro, nella pronuncia in esame viene espressamente citata, ad abundantiam, la “nefasta” sentenza Cassazione n.6813/2009, sempre richiamata dall’amministrazione finanziaria o in sede di motivazione dell’avviso di accertamento o nell’ambito del contenzioso, in cui la Corte in relazione all’accertamento sintetico del reddito, con riferimento a spese per incrementi patrimoniali, ha richiesto la dimostrazione di quel “nesso eziologico” fra redditi esclusi da tassazione e incremento patrimoniale nella pratica quasi impossibile da fornire.
Tanto premesso, la Cassazione specifica come dalla sentenza impugnata oggetto del giudizio non risulta accertato che il contribuente abbia fornito idonea prova, tantomeno documentale, della “durata” del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria a consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Rinvia pertanto la decisione della questione ad altra sezione della CTR.
Solo qualche breve considerazione per provare a fare ordine sulle tematiche oggetto della sentenza e sulle conclusioni a cui la Cassazione arriva nella pronuncia in commento, con la premessa che il contribuente non si è costituito nel giudizio (il che pare aver pesato non poco nella decisione dei Supremi giudici):
- In via generale, si deve evidenziare che, come più volte affermato anche dalle Entrate (cfr. per esempio la circolare 49/E/2007), la prova contraria rispetto al maggior reddito sintetico, anche nel “vecchio” redditometro può essere fornita non solo con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, ma anche ricorrendo a fattispecie differenti (donazioni di familiari, utilizzo di effettivi redditi conseguiti a fronte di importi fiscali convenzionali ecc.);
- Nella pronuncia in esame pare definitivamente superato, nonostante l’equivoco (e inconferente) richiamo alla sentenza 6813/2009, l’approccio secondo cui il contribuente è tenuto a dimostrare l’esistenza del nesso eziologico fra redditi esclusi da tassazione e spese presunte dal Fisco sulla base dei coefficienti redditometrici (o a fronte di incrementi patrimoniali su cui, in modo ancor più netto si è espressa la recente sentenza 6396 del 19/3/2014): il contribuente deve dimostrare solo il possesso di redditi o somme esclusi da tassazione per un periodo congruo e utile a far ragionevolmente presumere che quei redditi e quelle somme siano state impiegate a fronte del tenore di vita presuntivamente determinato dal redditometro;
- Una simile impostazione vale anche per il “nuovo” redditometro, sia con riferimento alle c.d. “spese per elementi certi” che vengono determinate sulla base delle medie Istat, sia a fronte delle spese certe ed effettive (nonché delle quote di risparmio accumulate nell’anno) che saranno contestate, con l’ulteriore precisazione che il Fisco per i controlli relativi agli anni dal 2011 in poi conoscerà nel dettaglio anche i saldi degli investimenti finanziari di ciascun contribuente. Il che, da un lato, potrebbe rendere più difficile la difesa del contribuente (nel caso in cui, per esempio, somme disinvestite in una gestione patrimoniale, siano state poi reinvestite in altra forma di gestione patrimoniale, restando sostanzialmente invariati gli importi complessivamente investiti, è evidente che tali somme non potranno essere usate per confutare il maggior reddito sintetico) ma dall’altro, dovrebbe consentire al Fisco accertamenti più mirati, evitando che siano selezionati soggetti che, magari, a fronte di incrementi patrimoniali apparentemente sproporzionati rispetto al reddito dichiarato, abbiano uno speculare decremento dei risparmi e degli investimenti finanziari. Con la speranza che, in questi casi, gli Uffici non richiedano la prova a ritroso, e spesso “diabolica”, di come e quando i risparmi e gli investimenti finanziari siano stati costituiti, (prassi abbastanza diffusa negli accertamenti da “vecchio” redditometro). E’ evidente, in definitiva, che se trattasi di risparmi accumulati in anni non più accertabili il Fisco non possa muovere più alcuna contestazione in merito.