I “vantaggi” fiscali della separazione
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
La Carta Costituzionale, agli articoli 29 e seguenti, risalta il ruolo della famiglia nel nostro ordinamento. L’articolo 31, in particolare, sancisce che “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”. La domanda che si pone è se sul fronte fiscale ciò sia vero o meno.
Il primo elemento di dubbio sorge in riferimento all’atavica soglia reddituale per essere considerati fiscalmente a carico di altri, ancora fissa a 2.841,00 euro, peraltro al lordo degli oneri deducibili, in cui ricade anche la deduzione forfettaria dell’abitazione principale: in termini pratici, un contribuente con un minimo di reddito, ad esempio 2.300,00 euro e con una quota del 50% dell’abitazione principale con reddito di 600,00 euro, non è più considerabile fiscalmente a carico. La cosa è abbastanza avvilente, soprattutto se considerata in rapporto alle famiglie numerose. Il Tuir prevede un’ulteriore detrazione di 1.200,00 euro per coloro che hanno almeno 4 figli: ebbene, non sia mai che qualcuno proponga un lavoro occasionale di scarsa entità e magari limitato nel tempo ad uno dei figli. Si rischia di perdere il beneficio fiscale. E lo stesso dicasi per chi pensa di avviare il figlio all’attività dei c.d. “minimi”. Il reddito ivi percepito comunque rileva per i carichi di famiglia e dunque l’effetto sui benefici è immediato.
Circa gli oneri deducibili e detraibili poi si possono incontrare punte di vero sadismo. Prendiamo i mutui. Se si acquista un immobile prima casa, è possibile detrarre la quota del coniuge a carico. Se invece si decide, tramite il mutuo, di costruire la prima casa, la quota del coniuge non è detraibile. La motivazione? Qualcuno si è dimenticato di scrivere lo stesso periodo nella norma riferita alla costruzione. L’aspetto simpatico è il mutuo c.d. misto: a fronte della stessa ipotesi, un contribuente può detrarre la quota del coniuge limitatamente all’importo di mutuo utilizzato per l’acquisto, ma non per quella riferita alla costruzione/ristrutturazione.
Sui cani guida per i non vedenti il paradosso è clamoroso: la faccio breve, se si ha la sfortuna di avere un non vedente a carico, è possibile detrarre l’acquisto del cane guida. Solo che non si ha diritto alla detrazione forfettaria delle spese di mantenimento del cane guida, non essendo un onere richiamato tra quelli fruibili per i soggetti a carico.
Dove non arriva la norma provvede l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria. Ad esempio, nel caso dei veicoli per i portatori di handicap, con estrema rigidità l’agenzia delle entrate (risoluzione n. 4 del 2007) ha negato la detrazione nel seguente caso: tizio ha a carico il coniuge ed il portatore d’handicap. Il veicolo viene intestato al coniuge. La detrazione è fruibile solo se il veicolo è intestato al portatore d’handicap oppure a chi lo a carico (nel caso Tizio). Sorgono due domande: chi ha mai potuto sostenere le spese del veicolo, se non comunque Tizio; che fine ha fatto la rilevanza sociale dell’onere, oltremodo importante verso i portatori d’handicap, laddove in luogo di considerare la spesa e la sua finalità si ragiona in maniera burocratica.
L’agenzia delle entrate è peraltro rigida anche nelle casistiche da redditometro: a parere del fisco, infatti, gli interventi di modica entità da parte dei genitori non sono mai rilevanti se non si rientra nel medesimo nucleo familiare. E meno male che “i figlie so piezz’ e core”. Ma l’aspetto serio della vicenda è la mancata considerazione dell’articolo 433 del codice civile, dove è imposto l’obbligo di intervenire a vantaggio di soggetti familiari non abbienti. Orbene, se la famiglia deve sostenere in casi “complicati”, non si comprende perché non possa esservi la solidarietà familiare anche in casi ordinari.
Il tutto poi diviene quasi assurdo se si considera che, a conti fatti, una bella separazione attribuisce un clamoroso vantaggio fiscale. Il caso mi è stato proposto da un amico, che in presenza di una famiglia numerosa (4 figli), con reddito cospicuo ma con moglie a carico, ha pensato bene di procedere nel seguente modo: abitando ad un secondo piano di un immobile e non trovando altre soluzioni, ha acquisto un altro appartamento posto al quarto piano dello stesso immobile. Non essendo gli appartamenti contigui, non riesce a procedere all’accatastamento unitario. Interpellando il comune di riferimento e chiedendo anche un sopralluogo, si è visto confermare dai vigili urbani la sua particolare situazione, con cui si evidenzia che il suo nucleo familiare vive in entrambi gli immobili. Il problema è però che sia fiscalmente che ai fini IMU, nonché delle altre imposte, i due appartamenti non sono “unificabili”, a prescindere dalle certificazioni e pertanto solo per un immobile è riconosciuta la caratteristica di “abitazione principale”. L’amico in questione mi ha chiesto una soluzione anche perché paga il mutuo per il secondo immobile e non vorrebbe perdere la detrazione fiscale.
Dopo ampia riflessione ho consigliato di separarsi, facendo però tutto per bene. Mi spiego: il secondo immobile deve essere assegnato al coniuge, con relativo affidamento dei figli. L’amico invece rimane nel primo immobile quale sua abitazione principale. L’immobile della moglie e dei figli origina comunque il diritto a detrarre gli interessi sul mutuo, posto che la condizione normativa richiesta è che si tratti di abitazione principale almeno dei familiari. Divenendo “prime case”, si elimina il problema fiscale e IMU. Dopo di che il “capolavoro”. Un bell’assegno di 2.000,00 euro mensile alla moglie. Lui ha un’aliquota Irpef al 43%, la moglie avrebbe in tal modo il 23%. Lui deduce e recupera il primo 20% netto rispetto all’importo erogato al coniuge. La moglie però ottiene le detrazioni per i familiari a carico molto elevate, essendo rapportate ad un reddito di gran lunga inferiore (mentre l’amico, con reddito maggiore, detraeva molto poco). Insomma, l’operazione vale ben oltre 10 mila euro l’anno.
Ora, tutto ciò ha un senso? Articolo 31 della Costituzione: La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”.