Le esportazioni a partire da un altro Paese Ue non possono essere fatturate dal cedente italiano
di Marco Peirolo
Nella prassi commerciale accade sovente che i beni oggetto di cessione da parte dell’impresa italiana si trovino, nel momento della vendita, in un altro Paese membro dell’Unione europea, per esempio perché acquistati per essere rivenduti nell’ambito di una triangolazione.
Ipotizzando che la cessione sia posta in essere nei confronti di un cliente extracomunitario, con trasporto/spedizione dei beni al di fuori del territorio doganale comunitario, si pone il problema di individuare il regime IVA di tale cessione; il che significa stabilire non solo se l’operazione si qualifichi come cessione all’esportazione, ma anche se la relativa fattura, in regime di non imponibilità, possa essere emessa direttamente dall’impresa italiana, anziché dall’eventuale posizione IVA previamente “accesa” nel Paese membro dal quale avviene l’esportazione.
A favore della prima soluzione (fattura non imponibile IVA emessa dall’impresa italiana) può osservarsi che l’Amministrazione finanziaria, in alcune occasioni, ha chiarito che la qualificazione di un’operazione come cessione all’esportazione è oggettiva, nel senso che prescinde dal luogo di partenza dei beni. Ciò che conta, in altri termini, è che la merce sia effettivamente destinata verso un Paese extracomunitario, senza che assuma rilevanza il Paese (membro della UE) dal quale viene operato il trasferimento.
Tale indicazione è stata fornita dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 134 del 20 dicembre 2010, per essere poi ripresa – e confermata – dalla circolare n. 37 del 29 luglio 2011 (§ 5).
Quest’ultima, in particolare, ha precisato che, “dall’introduzione, a partire dal 1993, della nuova disciplina degli scambi intracomunitari, i concetti di importazione e di esportazione assumono rilevanza non più con riferimento al territorio dello Stato, ma con riferimento al territorio comunitario (che ai fini doganali rappresenta un unicum)”.
Ad avviso di scrive, la portata di questa affermazione deve essere opportunamente coordinata con i criteri territoriali, diretti ad identificare il luogo impositivo delle operazioni.
La fattispecie presa in considerazione dall’Agenzia riguarda, infatti, l’ambito applicativo della non imponibilità IVA prevista, dall’art. 9, comma 1, nn. 2), 4) e 7), del D.P.R. n. 633/1972, per i trasporti e i servizi di spedizione relativi a beni in esportazione, importazione e transito, comprese le relative prestazioni di intermediazione.
La circolare n. 37/E/2011 ha affermato che le ipotesi di non imponibilità contemplate dal citato art. 9 si applicano alle sole operazioni rientranti nel campo di applicazione dell’IVA, ai sensi degli artt. da 7 a 7-septies del D.P.R. n. 633/1972.
Dato allora che, nei rapporti “B2B”, i trasporti di beni e le relative intermediazioni, in quanto prestazioni “generiche”, sono territorialmente rilevanti in Italia se il committente è un soggetto passivo ivi stabilito, tali operazioni – se acquistate da soggetti IVA italiani – si considerano effettuate nel nostro territorio anche se i beni sono esportati a partire da un altro Paese membro, in conformità peraltro all’art. 146, par. 1, lett. e), della Direttiva n. 2006/112/CE, in base al quale gli Stati membri esentano “le prestazioni di servizi, compresi i trasporti e le operazioni accessorie (…) qualora siano direttamente connesse alle esportazioni o importazioni di beni (…)”.
È chiaro pertanto che se l’operazione considerata, anziché essere un trasporto di beni, è una cessione all’esportazione, il relativo trattamento di non imponibilità si applica altrettanto oggettivamente, ma avendo riguardo al luogo di effettuazione della cessione.
Per i beni oggetto di trasporto/spedizione da parte del cedente o del cessionario, ovvero di un terzo, l’art. 32 della Direttiva n. 2006/112/CE dispone che il luogo della cessione coincide con il territorio di partenza dei beni, individuato nel momento iniziale del trasporto/spedizione.
In definitiva, la cessione all’esportazione eseguita a partire da un altro Paese membro, non essendo territorialmente rilevante in Italia, non può essere fatturata dall’impresa italiana in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972. L’operazione, infatti, si considera effettuata nel Paese membro dal quale i beni partono a destinazione del cessionario extracomunitario, sicché la relativa fattura va emessa, senza addebito d’imposta, dalla posizione IVA previamente “accesa” in tale Paese membro (secondo la procedura dell’identificazione diretta o per mezzo della nomina di un rappresentante fiscale).
In linea con questa conclusione, può richiamarsi la C.M. n. 13-VII-15-464 del 23 febbraio 1994 (§ B.16.3) laddove considera l’ipotesi di acquisto di beni da soggetto greco con consegna da parte di quest’ultimo in Svizzera (2° caso, lett. b). Ebbene, nell’esempio proposto, viene precisato che “(l)’intera operazione non rileva ai fini del pagamento del tributo nel territorio dello Stato, in quanto l’operazione di esportazione viene eseguita nel territorio greco”.