Il fattore tempo aiuta negli studi di settore. L’esito del contraddittorio è ininfluente ai fini del giudizio
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
Gli studi di settore sono neutralizzati dal tempo dedicato all’attività. Importante documentare la modalità di svolgimento del lavoro: se l’impegno è parziale, gli standard non possono trovare piena applicazione. Infine, l’esito del contraddittorio assolutamente non condiziona il giudizio del giudice, il quale può valutare liberamente l’applicabilità degli studi di settore al caso concreto. Queste le importanti conclusioni della Corte di Cassazione, raggiunte con la sentenza n. 3943 depositata lo scorso 19 febbraio 2014. Trattasi di un caso particolarmente controverso, con eccezioni che andavano dall’avvenuto condono alla presunta illegittimità dell’avviso di accertamento per non aver lo stesso riportato gli estremi dello studio di settore applicabile e che invece si è risolto soltanto con la valutazione fattuale dell’impiego temporale profuso nell’attività professionale.
Un rapido cenno alla vicenda deve essere effettuato. Circa l’avvenuto condono, la Corte di Cassazione ha confermato il parere della CTR, ritenendo non ricorrenti le possibilità della sanatoria in quanto era intervenuto un precedente invito al contraddittorio, cui aveva appunto fatto seguito l’avviso di accertamento: dunque erano presenti cause ostative (avvio di un’attività ispettiva), alla fruizione del condono tombale. L’altra eccezione invece riguarda una presunta non completa motivazione, non essendo individuati gli estremi degli studi di settore applicabile. Ciò in quanto nel contraddittorio preventivo l’ipotesi accertativa era fondata sui parametri e successivamente, avendo il contribuente in fase difensiva prodotto uno studio di settore prelevato da internet in quanto a lui più favorevole, si era giunti all’emanazione dell’avviso di accertamento proprio sulla base delle eccezioni del contribuente. Anche al riguardo la Cassazione non ha condiviso le doglianze del contribuente, sottolineando che l’accertamento standardizzato ha natura meramente presuntiva e pertanto ciò che rileva è soltanto il contraddittorio preventivo, che nel caso di specie era stato debitamente attuato: al giudice resta la piena facoltà di valutare, in concreto, la fondatezza della pretesa impositiva.
Il caso si è risolto positivamente per il contribuente solo sull’ultimo elemento, il fattore tempo. L’avvocato infatti aveva sottolineato un suo coinvolgimento lavorativo sostanzialmente “part-time”, essendo stato impegnato quale giudice tributario per due mesi (ironia della sorte, venendo “bocciato” proprio dai suoi colleghi, con magari “indiretta soddisfazione di quanti erano stati dallo stesso “bocciati” sul delicato tema degli studi di settore), nonché quale educatore in un convitto per ben altri 4 mesi. A parere del ricorrente, la sentenza della CTR aveva erroneamente ritenuto validi gli standard applicati come se l’attività fosse stata ordinariamente svolta, ragionando sulla base di mere supposizioni e, si legge, “(…) dello svilimento dell’impegno profuso quale giudice tributario” (anche al riguardo sarebbe interessante comprendere i parametri utilizzati per una simile “sottovalutazione” di tale attività, sempre ad opera di altri giudici tributari). In sostanza, si intuisce che secondo i giudici di merito il fattore tempo rappresenta un elemento di minore rilevanza nella produzione del reddito professionale, che invece è influenzato, in misura preponderante, dalle capacità intellettuali e personali del professionista e dalla sua capacità di creazione di una rete di relazioni.
La Cassazione ha censurato tale sentenza sulla base di due elementi, sicuramente condivisibili. In primo luogo, sottolineando che gli studi di settore non hanno affatto valenza di presunzione legale, essendo delle semplici presunzioni il cui giudizio in sede di ricorso “(…) non è condizionato dall’esito del contraddittorio, ben potendo il giudice tributario valutare liberamente la relativa applicabilità al caso concreto, la cui dimostrazione grava sull’ente impositore”. In termini pratici, la circostanza che nel corso del contraddittorio preventivo fosse stato proprio il contribuente a richiedere l’applicazione degli studi di settore in luogo dei parametri non è rilevante: comunque bisogna valutarne l’applicabilità al caso concreto.
In secondo luogo, i supremi giudici hanno sottolineato il vizio motivazionale di aver ritenuto ininfluente il fattore tempo, non avendo adeguatamente valutato e motivato tali conclusioni rispetto alle precise eccezioni del contribuente, che ha “(…) affermato trovarsi ai primi anni della professione (svolta con studio autonomo), tanto da ritenere di rescindere il rapporto di lavoro come educatore (…)”.
In conclusione si ottiene un’importante suggerimento per gli studi di settore dei professionisti: adeguatamente motivare circa il minor tempo dedicato all’attività. Sul tema, appare del tutto inutile l’esercizio sterile di ridurre al “minimo sindacale”, previa adeguata “sperimentazione con Gerico”, le ore e le settimane dedicate all’attività, rischiando altrimenti di indicare dati assolutamente non coerenti con l’ordinario svolgimento dell’attività. E ciò a maggior ragione quando i redditi sono contenuti, rappresentando un controsenso l’indicazione di poco tempo lavorato rispetto a guadagni risicati (forse converrebbe impegnarsi di più, è la deduzione avversa). In tali ipotesi, infatti, è sicuramente conveniente comprendere le ragioni della non congruità e documentarle (dalla crisi, alla riduzione del lavoro, alle condizioni di marginalità), piuttosto che seguire la congruità con “variazioni dati” altamente incoerenti che potrebbero condurre ad uno studio di settore “inattendibile”, con conseguente possibilità di un accertamento induttivo fondato sulle presunzioni semplici: meglio preservare la validità dello studio di settore e lasciare l’onere probatorio al fisco.