Sanzioni amministrative e rapporto con il commercialista
di Giovanni Valcarenghi
Che succede quando un contribuente incarica un professionista (o sostiene di averlo incaricato) di svolgere un adempimento fiscale e, invece, lo stesso adempimento non viene posto in essere? Si possono ravvisare elementi di responsabilità a carico del commercialista?
La vicenda appare di assoluta attualità, specialmente in questi periodi di crisi, per il semplice fatto che, da un lato, sono numericamente incrementate le liti aventi ad oggetto l’addebito di responsabilità per errori o mancanze professionali e, per altro verso, la giurisprudenza tende ad estendere la responsabilità degli errori a carico del commercialista.
Lo spunto di riflessione ci è fornito da una recente sentenza della Cassazione, la numero 5965 depositata lo scorso 14 marzo, che si è occupata di una vicenda che vedeva contrapposti cliente e commercialista. In particolare, a seguito di un PVC, veniva emesso avviso di rettifica ad un contribuente che provvedeva ad impugnarlo in commissione tributaria, con scarso successo, ottenendo un diniego. Nelle more, veniva emanata la legge 289/2002 che consentiva la possibilità di accedere al condono per definire la lite pendente, con pagamento del 50% della imposta accertata, senza addebito di interessi e sanzioni. Secondo la difesa del contribuente, lo stesso aveva affidato l’incarico di perfezionare il condono ad un professionista che, invece, non avrebbe provveduto, con la conseguenza che la sentenza si cristallizzava per mancata impugnazione e veniva emessa cartella esattoriale per il recupero del dovuto.
Avverso tale cartella ricorreva ancora il contribuente, chiedendo di annullare la sanzione addossando la responsabilità al commercialista che non avrebbe provveduto alla presentazione della istanza di sanatoria. La CTP accoglieva tale ricorso; la CTR, adita dall’Agenzia delle entrate, invece, riformava la sentenza ritenendo corretto l’addebito delle sanzioni al contribuente.
In Cassazione, il contribuente lamentava che la CTR avrebbe dovuto escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo nell’illecito tributario, addossando le sanzioni al professionista a motivo della sua negligenza nello svolgimento dell’incarico; peraltro, la Commissione avrebbe dovuto disporre la sospensione del giudizio nell’attesa dell’epilogo della controversia civile in corso. Inoltre, richiamando l’articolo 6 del decreto legislativo 472/1997, si doleva del fatto che la CTR si sarebbe limitata a ritenere legittime le sanzioni, senza motivare in ordine alla responsabilità del professionista.
Tali motivi sono stati ritenuti infondati dalla Cassazione che ha, dapprima, rilevato che l’articolo 6 del decreto 472/1997 prevede che il contribuente non sia punibile quando dimostri che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria ed addebitabile esclusivamente a terzi. Peraltro, riscontra ancora la Corte, la sospensione del giudizio risulta del tutto discrezionale e non obbligatoria.
Ma la cosa più importante, forse, è che la sentenza afferma che il contribuente trascura di considerare che lui stesso avrebbe dovuto vigilare sull’operato del consulente e dimostrare comunque la completa assenza di sua responsabilità nella mancata presentazione della domanda di condono. Infatti, l’articolo 5 del più volte richiamato decreto 472/1997 prevede che l’azione od omissione causativa della violazione sia volontaria (ossia compiuta con coscienza e volontà) e colpevole (ossia compiuta con dolo e negligenza) e la prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente. In sostanza, va esclusa la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa.
La sentenza, infine, crea un parallelo con il contenuto di altre pronunce, nelle quali era stata sostenuta la correttezza dell’operato dell’ufficio (che addebitava le sanzioni), ove fosse dimostrata la culpa in vigilando del contribuente, che era stato avvisato dal proprio commercialista di non aver ricevuto dal precedente consulente parte della contabilità, con conseguente impossibilità di adempiere l’incarico ricevuto.
A prescindere dalla particolarità della casistica, a me pare che dalla sentenza si possa ricavare un monito preciso che ci dovrebbe accompagnare nell’attività quotidiana; vale a dire rammentare l’importanza del mandato professionale (che dovrebbe essere sempre redatto), delle comunicazioni più o meno ufficiali con il cliente e dell’importanza che sia chiaro ad entrambe le parti la circostanza che la prestazione possa essere effettivamente svolta. Ci avviciniamo al periodo delle dichiarazioni, ed in tal senso l’impegno a trasmettere rappresenta una testimonianza pratica della tematica in discussione.
Per altro verso, potremmo dire che il contribuente non può dormire sonni tranquilli anche quando abbia incaricato un professionista, in quanto a suo carico graverebbe comunque un dovere di sorveglianza sull’espletamento dell’adempimento; a tale riguardo, le istruzioni per la compilazione della dichiarazione, ove si prevede specificamente tale onere di vigilanza, sembrano essere perfettamente allineate con il principio affermato dalla sentenza in commento.