In materia di abuso del diritto l’onere della prova è a carico dell’Amministrazione Finanziaria
di Luigi Ferrajoli
L’ennesima conferma in materia di ripartizione dell’onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente circa l’esistenza di una fattispecie abusiva, giunge dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 1233 del 22/01/2014 ha avuto occasione di ribadire che grava sull’Ufficio l’onere di allegare elementi probatori decisivi ed idonei a dimostrare la dedotta elusione.
La questione sottoposta alla Suprema Corte aveva ad oggetto la valutazione di una operazione di ristrutturazione societaria di gruppo nell’ambito della quale era stata contestata alla società contribuente l’indebita deduzione dall’imponibile della quota di ammortamento annuale relativa al disavanzo da fusione, costituita dall’incorporazione di dodici società possedute interamente.
Con ricorso in Cassazione affidato ad un unico motivo l’Agenzia delle entrate chiedeva l’annullamento della sentenza di secondo grado, per avere i Giudici di merito statuito che non si ravvisa il fine elusivo, che giustificherebbe l’applicazione del disposto della L. 408/1990, articolo 10, nell’imputazione del disavanzo da fusione ad avviamento, che anzi era considerata operazione del tutto legittima nel 1993.
La decisione della Commissione tributaria regionale si basava sulla circostanza secondo la quale l’Amministrazione non avrebbe adempiuto all’onere probatorio su di essa incombente di dimostrare l’elusività dell’operazione.
La sentenza della Corte di Cassazione conferma tale carenza di prova, precisando che “il materiale probatorio, di cui l’Ufficio lamentava l’omesso esame, è privo del carattere della decisività, perché inidoneo a provare la dedotta elusione dell’art. 123 del Tuir, tenuto conto che … nel regime previgente al 1 gennaio 1995, data di entrata in vigore della L. n. 724 del 1994, il cui articolo 27 ha introdotto il principio di neutralità fiscale delle fusioni, qui rilevante ratione temporis, il menzionato D.P.R. 917/1986 articolo 123, consentiva l’iscrizione in bilancio, alla voce avviamento, del disavanzo da fusione per incorporazione da parte di una società che già possedeva l’intero capitale sociale dell’incorporata (Cassazione, n. 20423 del 2007; si veda inoltre Cassazione, n. 19863 del 2012 concernente una controversia analoga alla presente)”.
La sentenza richiama noti precedenti giurisprudenziali in materia di rilevanza dell’abuso del diritto in cui, con specifico riguardo alle operazioni di ristrutturazione infragruppo, la Corte di Cassazione aveva avuto modo di chiarire che “l’applicazione del principio giurisprudenziale dell’abuso del diritto, inteso come non ammissibilità per l’ordinamento tributario dell’utilizzo distorto dell’autonomia contrattuale e della libera iniziativa privata con finalità esclusivamente rivolte al risparmio d’imposta, comporta per l’Amministrazione finanziaria l’onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese dal contribuente al quale compete allegare le finalità perseguite – diverse dal mero vantaggio consistente nella diminuzione del carico tributario” (cfr.: Corte di Cassazione, sentenza n. 1372 del 21/1/2011).
La Corte attribuisce all’Amministrazione finanziaria il compito di argomentare e sostenere il carattere artificioso della operazione censurata non potendosi limitare all’affermazione che lo stesso risultato poteva essere conseguito attraverso una diversa formula organizzativa.
Non solo, spetta ancora all’Ufficio e non al contribuente spiegare perché la forma giuridica impiegata sia inusuale o inadeguata all’operazione economica; ciò in quanto il sindacato dell’Amministrazione finanziaria non può spingersi ad imporre una misura di ristrutturazione diversa tra quelle giuridicamente possibili solo perché tale misura avrebbe comportato un maggior carico fiscale.
Spetta, di contro, al contribuente dimostrare le ragioni economiche dell’operazione posta in essere, che possono essere individuate anche in modifiche di tipo organizzativo od aziendale in quanto volte a realizzare miglioramenti nella efficienza della attività od a rendere maggiormente competitiva la impresa (cfr.: Corte di Cassazione, sentenza n.27679 dell’11/12/2013).
La Suprema Corte, con le pronunce citate, richiama l’Amministrazione finanziaria ad una maggiore cautela che deve guidare l’applicazione del principio di abuso del diritto soprattutto qualora venga invocato per censurare operazioni di ristrutturazioni societarie, dove la strategia sul mercato dei gruppi di imprese non è sempre finalizzata al conseguimento di una redditività immediata, ma spesso persegue logiche di natura meramente organizzativa e può consistere in miglioramenti strutturali e funzionali dell’impresa.