Royalties escluse dai dazi doganali e dall’Iva importazione
di Giovanni Valcarenghi
Le royalties pagate dall’importatore al titolare del marchio, che sia un soggetto diverso dal fornitore estero, sono escluse dalla tassazione doganale se, allo stesso tempo, i diritti di licenza non costituiscono una “condizione di vendita” e non sussiste un rapporto di controllo tra il licenziante e l’esportatore.
È la conclusione della Commissione Tributaria Regionale di Milano resa nella sentenza n. 174/07/13 del 19 novembre 2013, che merita di essere segnalata perché “completa” l’orientamento della giurisprudenza di merito sulla questione, già intervenuta con le decisioni n. 384 del 30 dicembre 2008 e n. 307 del 22 dicembre 2008, entrambe della Commissione Tributaria Provinciale di Milano.
Il caso affrontato è quello di una società che, all’atto dell’introduzione in Italia dei beni di provenienza extra-UE, ha omesso di dichiarare in dogana l’importo delle royalties pattuito con il licenziante estero.
In primo grado, i giudici hanno confermato il recupero dei maggiori diritti doganali operato dall’Ufficio, ritenendo che le royalties andavano incluse nel valore doganale da assoggettare a tassazione, trattandosi di corrispettivi che l’importatore, a norma dell’art. 32 del Codice doganale comunitario, era tenuto – direttamente o indirettamente – a pagare quale condizione di vendita.
Tale decisione è stata riformata nel successivo giudizio d’appello, posto che le royalties pagate dall’importatore al titolare del marchio, soggetto diverso dal fornitore estero, concorrono a formare il valore in dogana della merce alla duplice condizione, non soddisfatta nel caso esaminato, che il relativo pagamento sia “condizione di vendita” e che il venditore estero sia “legato” al licenziante.
È vero infatti che, ai fini della determinazione del valore doganale dei beni, al prezzo effettivamente pagato o da pagare vanno addizionati “i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare” (art. 32, par. 1, lett. c) e che, pertanto, “i pagamenti effettuati dal compratore come contropartita del diritto di distribuzione o di rivendita delle merci importate non sono aggiunti al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate se tali pagamenti non costituiscono una condizione della vendita, per l’esportazione, a destinazione della Comunità, delle merci qui importate” (art. 32, par. 5, lett. b).
Nella fattispecie concreta, tuttavia, il pagamento dei diritti di licenza non costituisce “condizione di vendita” nel rapporto contrattuale intercorso tra l’importatore e il produttore, siccome:
- le royalties venivano corrisposte direttamente al licenziante, senza possibilità alcuna per il fabbricante di chiederle in sua sostituzione o di rifiutare la vendita in caso di omesso pagamento;
- il licenziante poteva concedere la licenza di utilizzo del marchio a soggetti terzi e di vendere, direttamente o indirettamente, i prodotti di seconda scelta o difettosi, per cui la scelta del fornitore spettava esclusivamente all’importatore, senza essergli imposta dal licenziante.
Quanto alla seconda condizione, l’Ufficio non ha fornito un’idonea dimostrazione in merito al rapporto di controllo tra il licenziante e l’esportatore, richiesto dall’art. 160 del Reg. CEE n. 2954/1993. Sulla base delle specifiche pattuizioni intercorse fra le parti, infatti, il venditore estero non risultava “legato” al titolare del marchio, essendo priva di rilevanza la circostanza che a quest’ultimo fosse riservata la possibilità di effettuare controlli limitati alla qualità della merce prodotta.
È il caso di osservare che, nel ricorso in appello, l’importatore ha denunciato la duplicazione dell’IVA che, nella fattispecie, si determinerebbe con il recupero, ex post, dell’imposta già assolta in reverse charge al momento del pagamento al licenziante; si rammenta infatti che, ai sensi dell’art. 3, comma 2, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972, le royalties costituiscono il corrispettivo di una prestazione di servizi, la quale – data la sua natura “generica” – è attratta a tassazione nel Paese di stabilimento del committente/importatore, con applicazione del sistema di inversione contabile.
Il problema si è posto perché l’IVA dovuta sulle royalties, assolta attraverso il reverse charge anziché, in dogana, all’atto dell’importazione dei beni, è stata recuperata a tassazione senza riconoscerne la detrazione.
Questo specifico aspetto, non approfondito dalla sentenza in commento, è stato invece affrontato dalle citate sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 384 del 30 dicembre 2008 e n. 307 del 22 dicembre 2008. Si afferma, infatti, che la preminenza del principio di neutralità fiscale esclude l’indebito arricchimento erariale conseguente alla doppia imposizione dei diritti di licenza.
Si tratta di una conclusione allineata alla posizione della Corte di Giustizia (sentenza Ecotrade, di cui alle cause C-95/07 e C-96/07 dell’8 maggio 2008) e confermata dalla recente circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 35 del 17 dicembre 2013 (par.3.2), che ha ammesso la detrazione dell’IVA all’importazione liquidata in sede di revisione dell’accertamento doganale.