27 Febbraio 2014

Esterovestizione a rischio Iva

di Ennio VialVita Pozzi
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In un precedente intervento (“Non tutta l’esterovestizione vien per nuocere” di venerdì 21 febbraio 2014) abbiamo avuto modo di illustrare come l’accertamento da esterovestizione in ipotesi di società estere operative non presenti una portata particolarmente dirompente in materia di fiscalità diretta.

Fino a un po’ di tempo fa, problematicità non si ponevano nemmeno in relazione al comparto dell’Iva in quanto la società esterovestita venendo riqualificata come stabile organizzazione della casa madre italiana, effettuava normalmente operazioni fuori dal campo di applicazione dell’imposta.

Una delle novità di maggior rilievo in materia di Iva, entrata in vigore dal 2013 (legge di stabilità 2013, n.228/2012), è contenuta nel comma 6-bis dell’art. 21 del D.P.R. 633/1972. La norma ha introdotto un’ampia estensione (ancorchè non totale) dell’obbligo di fatturazione delle operazioni extraterritoriali (sia cessioni di beni che prestazioni di servizi).

La norma distingue l’ipotesi di operazioni con paesi UE (lettera a) e paesi Extra-UE (lettera b).

Nel caso della lett. b) le cose sono molto semplici da decifrare: quando un’operazione (vuoi cessione di beni, vuoi prestazione di servizi) risulta “territoriale” in un Paese o territorio extra Ue (ex artt. da 7 a 7-septies del D.P.R. 633/72), la fattura va sempre emessa (indicando “operazione non soggetta” e, se si vuole, la relativa norma).

Quanto detto opera a prescindere dallo status (privato od operatore) e dalla residenza (IT, Ue o extra Ue) della controparte. Più complessa è la situazione della lettera a) che prevede l’obbligo di fatturazione (dalla posizione italiana) delle operazioni extraterritoriali solo quando si verificano contestualmente le seguenti condizioni:

  1. l’operazione (sia cessione di beni che prestazione di servizi) non è “territoriale” nel nostro Paese ma in un altro Stato Ue, secondo i criteri fissati dagli articoli da 7 a 7-quinquies del D.P.R. Iva;
  2. la controparte è soggetto passivo che è (anche) il debitore dell’IVA nell’altro Stato Ue;
  3. si tratta di servizi diversi da quelli contemplati nell’art. 10 nn. da 1) a 4) e 9) (ossia operazioni “finanziarie” e le prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle predette operazioni).

Appare di tutta evidenza come le operazioni realizzate dalla stabile organizzazione estera dovranno essere regolarmente fatturate ai sensi dell’art. 7 bis e, conseguentemente, indicate anche nella comunicazione black list mensile o trimestrale se la controparte è un soggetto fiscalmente residente in un paradiso fiscale.

Si ricorda come, in base alla R.M. 121/E/2010, la casa madre dovrà comunicare tutte le operazioni poste in essere con soggetti residenti nel paese black list se la propria stabile organizzazione è ivi residente. In sostanza, la casa madre dovrà segnalare sia le cessioni di beni con la stabile sia le operazioni poste in essere in loco dalla stabile.

Tornando al tema in esame, la questione che più preoccupa è proprio il nuovo obbligo di fatturazione.

Qualora l’Agenzia delle entrate contestasse l’esterovestizione della società estera, la stessa si tramuterebbe in una stabile organizzazione senza particolari conseguenze sul piano fiscale se la tassazione del paese estero è equiparabile a quella domestica.

Il problema che si pone, tuttavia, è rappresentato dal profilo Iva. L’Amministrazione finanziaria potrebbe contestare, infatti, l’omessa fatturazione delle cessioni fuori campo iva poste in essere dalla stabile.

La norma di riferimento è rappresentata dall’art.6 co.2 del D.lgs. 471/1997 dove si prevede che chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni non imponibili, esenti o non soggette ad IVA è punito con una sanzione amministrativa compresa tra il cinque ed il dieci per cento dei corrispettivi non documentati o non registrati.

E’ previsto inoltre che quando la violazione non rileva ai fini della determinazione del reddito, si applica la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni, ossia da 258 euro a 2.065 euro.

Il punto cruciale è valutare se nel caso di specie gli stessi rilevino ai fini della determinazione del reddito.

La risposta è sicuramente positiva in caso di livello impositivo nel paese estero inferiore a quello nazionale, ma appare tutt’altro che scontato in ipotesi di un credito di imposta capiente che permetta di annullare il prelievo impositivo italiano.