Norma confusa? Niente sanzioni
di Giovanni Valcarenghi
Potremmo affermare che tematica della soggettività passiva IRAP dei contribuenti ha ormai assunto dimensioni tali da rendere sconsigliabile il tornare a parlarne; pur tuttavia, a parere di chi scrive non si può lasciar passare sotto silenzio la pregevole sentenza n.4394 che la Cassazione (Presidente Cicala, Relatore Di Blasi) ha depositato lo scorso 24 febbraio 2014.
L’interesse è concentrato non sul tema del diritto al rimborso o meno, ma sulla applicabilità delle sanzioni in ragione delle indicazioni dell’articolo 10, comma 3, della Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) e dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 472/1997 (disposizioni generali sulle sanzioni amministrative tributarie). Le richiamate norme, in sostanza, prevedono la non applicabilità delle sanzioni in caso di incertezza oggettiva sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma, principio tanto chiaro nel suo contenuto quanto sovente trascurato sia dall’amministrazione finanziaria che dai giudici (forse anche per mancanza di specifiche richieste del contribuente).
Nel caso di specie, si verteva su una istanza di rimborso relativa alle annualità 2003-2004-2005 (denegata) e sulla applicazione di sanzioni; non è dato di sapere il motivo per cui si pretendessero tali sanzioni, anche se potrebbe essere presumibile che il contribuente non avesse versato il tributo, pur avendolo evidenziato a debito nel modello. La parte attrice (uno studio associato professionale), impugna la sentenza solo per chiedere la censura delle sanzioni stesse.
Il Relatore, riscontrato che la vicenda si è incardinata nel 2008, ritiene del tutto assente qualsiasi dubbio sulla portata applicativa della norma, posto che nel corso del 2007 la Corte si era già pronunciata in modo indiscutibilmente chiaro (con il “famigerato” IRAP day); richiede, pertanto, il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
La Corte, invece, ritiene di dovere analizzare con maggiore compiutezza la vicenda, anche alla luce del principio esposto nella sentenza 22252/2011, ove si afferma che possa sussistere incertezza quando il complesso normativo di riferimento si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento si riveli concettualmente difficoltoso, a causa della relativa equivocità.
E sulla scorta di questo principio, riscontra ancora la Corte, non può trascurarsi che nel periodo oggetto di imposizione (dal 2003 al 2005) sussistesse una obiettiva incertezza in ordine al presupposto dell’attività “autonomamente organizzata” e segnatamente in merito al contenuto da dare ai termini “organizzazione” ed “autonomia”.
Si riscontra ancora che tale obiettiva incertezza era desumibile dal lessico utilizzato e dalla difficoltà di darne una lettura inequivoca, anche con riguardo all’esigenza dell’indispensabile coordinamento con il complesso quadro normativo di riferimento, sia fiscale che ordinamentale.
Per tali motivi, la sentenza della CTR viene cassata e rinviata ad altra sezione, con l’indirizzo di adeguarsi ai principi generali dettati.
Ed allora, tali conclusioni non possono che salutarsi con estremo favore, in quanto riportano la giustizia tributaria sulla retta via che deve esserle propria; vale a dire, avere il coraggio di affermare con fermezza che la conseguenza più frequente nella applicazione delle norme tributarie, così per come sono frequentemente scritte, è proprio quella della disapplicazione delle sanzioni.
Così, se tale approccio dovesse essere correttamente applicato, il legislatore e l’amministrazione perderebbero certamente il vizio, il primo, di scrivere le norme in modo approssimativo e spesso atecnico e, la seconda, di chiarire il proprio pensiero in modo tardivo e non sempre parziale.
Perché si possa applicare con tranquillità una norma (anche tributaria) quest’ultima deve essere chiara, precisa ed inequivoca; diversamente, eventuali errori dei contribuenti non potranno essere sanzionati.
E, verrebbe la voglia di dire, le sanzioni non dovrebbero essere applicate neppure qualora il comportamento adottato fosse evidentemente teso al puro risparmio di imposta, a titolo di sanzione indiretta (stavolta sì!) per l’incapacità di chi dovrebbe ben legiferare e ben interpretare.