La forma societaria non garantisce il diritto alla detrazione Iva
di Davide De Giorgi
I giudici del Supremo Consesso, con la sentenza n.3452 del 14 febbraio 2014, confermando l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria, hanno chiarito che la mera forma societaria riconducibile ad una delle strutture indicate ex art. 4 del D.P.R. n. 633 del 1972, non garantisce automaticamente l’esercizio del diritto alla detrazione.
Infatti, in considerazione del generale criterio della prevalenza della sostanza sulla forma c.d. “substance over form principle”, immanente alla disciplina IVA, è necessario indagare l’inerenza dell’operazione effettuata a monte in relazione allo svolgimento in concreto dell’attività d’impresa.
Come noto, il meccanismo applicativo dell’imposta garantisce la neutralità fiscale per i soggetti passivi (gli operatori economici), riconoscendo a tali soggetti il diritto di detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti dall’imposta incassata sulle vendite (o per il tramite del rimborso).
In questo modo, per il soggetto passivo (o meglio sarebbe definirlo responsabile dell’imposta), l’imposta diviene semplicemente una partita di giro, o al massimo, un leggero aggravio di tipo finanziario, ma mai un costo (salvo eccezioni, comunque regolate).
I giudici della Cassazione chiariscono che “Il principio della neutralità fiscale, avuto riguardo alle indicate finalità perseguite dal sistema, trova dunque esclusivo fondamento nella nozione della “inerenza” all’esercizio della attività d’impresa, arte o professione, dei beni o servizi scambiati sul mercato dagli operatori economici”.
La decisione dei Giudici si basa su una serie di argomentazioni pregevoli.
Innanzitutto, nell’accogliere la tesi dell’Ufficio, i giudici mettono in evidenza come con riferimento alle società commerciali (v. art. 2195), l’inerenza all’attività d’impresa delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi offerti da queste al mercato “risulta oggettivamente evidente” se aderente, o comunque ricompreso nell’oggetto sociale.
A contrariis, per qualificare inerenti all’attività d’impresa i beni o i servizi acquistati dalla società occorre verificare “in relazione al caso concreto quale sia la effettiva destinazione impressa al bene/servizio acquistato”.
Tanto premesso, i giudici hanno chiarito che l’inerenza deve essere ravvisata soltanto nel caso in cui “per le caratteristiche oggettive o per le concrete modalità di impiego del bene/servizio questo possa ritenersi direttamente strumentale al ciclo produttivo, ovvero funzionale alla struttura organizzativa, o necessario alla attuazione di scelte strategiche di penetrazione sul mercato o ampliamento dei settori di attività, ecc..”.
Solo a seguito del vaglio positivo di queste circostanze quindi la “società commerciale, che ha versato in rivalsa l’IVA sulla fattura relativa alla operazione passiva, potrà esercitare il diritto alla detrazione della imposta, atteso che solo in tal caso si giustifica il principio di neutralità fiscale; diversamente, nel caso in cui tale inerenza non sia ravvisabile, l’acquisto del bene o servizio dovrà essere trattato fiscalmente alla stregua dei beni o servizi acquistati dal consumatore finale, venendo a gravare definitivamente il tributo sulla società acquirente”.
In punto di diritto viene chiarito che la “presunzione legale” prevista ex art. 4, comma 2, n. 1) del Decreto IVA, che considera le operazioni commerciali effettuate comunque nell’esercizio dell’impresa se poste in essere da società commerciali costituite secondo gli schemi negoziali previsti (v. art. 2195 c.c. e art. 2249 c.c., comma 1) È VALIDA SOLO con riferimento alle operazioni di vendita, e NON ANCHE per gli acquisti effettuati da tale società.