Una categoria particolare di enti non commerciali: le leghe sportive
di Guido Martinelli
Le leghe di società sportive in generale
La maggior parte degli sports di squadra ha visto o vede le società partecipanti all’attività di vertice raggrupparsi in enti di secondo grado, generalmente costituiti in forma di associazioni non riconosciute ai sensi degli artt. 36 e ss. cod. civ., denominati “leghe di società”. La prima a costituirsi fu l’attuale lega calcio professionisti, nata nel maggio del 1946. Negli anni 70 il fenomeno investì la pallacanestro, con la nascita della lega maschile di serie “A”, quella femminile e quella dei campionati inferiori; la pallavolo vide, inizialmente, una lega unica per il settore maschile e femminile, poi scissa in due per la serie “A” e la costituzione di una nuova lega per le serie inferiori. Nacquero, poi, a cavallo tra gli anni ‘80 e ’90, tra alterne fortune, quella di hockey a rotelle, di rugby, di pallanuoto, di pallamano e di hockey ghiaccio.
Le leghe nascono, inizialmente, per il raggiungimento di tre obiettivi: un ruolo di syndacation, ossia di tutela degli interessi corporativi delle aderenti nei confronti del “governo” federale, alla stregua di qualsiasi altra organizzazione di categoria operante nella società civile; un’attività di consulenza e assistenza nei confronti delle aderenti su temi connessi all’organizzazione societaria, alla comunicazione e alla gestione giuridico-amministrativa; un’attività di marketing di gruppo tesa a vendere il prodotto sports di vertice.
Progressivamente l’attività di lobbies si è trasformata, in alcuni casi, in attività di governo.
In molti casi, le leghe, hanno ricevuto, con lo strumento della c.d. “convenzione”, il trasferimento di funzioni di “governo” ossia legate all’organizzazione del proprio campionato di riferimento. Tale scelta è stata, in alcuni casi, addirittura favorita dalle stesse Federazioni che vedevano tali strutture, a carattere privatistico, gestire funzioni proprie delle Federazioni con proventi e personale propri senza onere per la struttura pubblica.
Ne deriva che tali enti si identificano in vere e proprie organizzazioni di categoria, quali enti rappresentativi degli interessi delle società sportive di riferimento, ma, come tali, prive della possibilità di qualificarsi “associazioni sportive dilettantistiche” e, pertanto, come tali soggette alla perdita della qualifica di ente non commerciale ai sensi e per gli effetti dell’art. 149 Tuir.
Si ritiene, invece, possibile per tali enti il riconoscimento di compensi sportivi ex art. 67 primo comma lett.m) del Tuir (ovviamente ad eccezione delle leghe di sport professionistici) in quanto la norma trova applicazione nei confronti di “qualunque organismo, comunque denominato” e non solo nei confronti delle associazioni sportive dilettantistiche.
Tali aspetti fiscali e il convenzionamento con la Federazione appare scelta non immune da critiche. Infatti, l’esistenza di un organo dotato di soggettività e bilanci propri con funzioni pubblicistiche – quelle legate all’organizzazione dello sport – imporrebbe una vigilanza ed un controllo che non sempre viene esercitata dalle Federazioni stesse.
Tali problematiche non apparivano superabili dalla costituzione a latere delle Leghe quali associazioni, (vedi, ad esempio, per la pallacanestro, il consorzio società basket serie “A” – SOBASA -) di strutture societarie che gestivano, di fatto, tutta l’attività mercantile posta in essere dalle leghe stesse, al fine di evitare il rischio della perdita della qualifica di ente non commerciale e il timore di possibili ingerenza da parte delle stesse Federazioni, sulle attività economiche poste in essere dalle strutture ritenute organi federali.
In particolare la lega pallavolo
La lega pallavolo serie “A” maschile, in maniera innovativa rispetto alle altre discipline, piuttosto che creare strutture esterne, ha trasformato la sua natura giuridica da associazione non riconosciuta in consorzio con attività esterna ai sensi degli artt. 2602 e seguenti del codice civile. Le ragioni tecniche che hanno indotto l’organismo rappresentativo delle società di vertice del campionato di volley della massima serie a effettuare questa scelta, sono molteplici.
Valutato che, comunque, si correva il “rischio” di rendere commerciale tutta l’attività svolta, ha preferito scegliere la strada di considerare tutto “commerciale” ma acquisire il vantaggio della responsabilità limitata di cui gode il consorzio rispetto all’associazione.
Vi è stato, poi, un ragionamento connesso a quello che è, in senso proprio, il ruolo della Lega. L’ente, come associazione, istituzionalmente, ha natura non lucrativa. Era, invece, chiara la volontà delle società aderenti di poter utilizzare il loro organismo rappresentativo anche per poter ottenere dei ristorni economici dalla gestione collettiva, ad esempio, di diritti propri degli aderenti quali quelli connessi alle riprese televisive. Pertanto si richiedeva una ripartizione di utili che la natura non profit dell’associazione non poteva dare. Ecco che la trasformazione in consorzio ha voluto significare dare alla Lega anche un ruolo determinante in attività che possano stornare ricchezza alle proprie associate.
Interessante, appare, infine ricordare come la Lega pallavolo si è trasformata in consorzio. Lo ha fatto proprio con una delibera di trasformazione, senza costituire, quindi, un nuovo soggetto ma modificando la natura giuridica dell’associazione già esistente.