Corte di Giustizia, causa C-563/12: criticità della normativa Iva per le esportazioni “improprie”
di Davide De Giorgi
Non è compatibile con la disciplina IVA una normativa nazionale secondo la quale, nell’ambito di una cessione all’esportazione, i beni destinati ad essere esportati devono aver lasciato il territorio dell’Unione europea entro un termine prestabilito di tre mesi o di 90 giorni successivi alla data della cessione, qualora il semplice superamento di tale termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione riguardo a tale cessione.
La Corte di Giustizia, con la sentenza pronunciata in relazione alla causa C-563/12, chiarisce che tale termine, letto alla luce dei principi di neutralità fiscale, di certezza del diritto e di proporzionalità, non può assumere natura di “termine di decadenza sostanziale”, piuttosto assume natura di “termine tecnico” al cui decorso può comunque porsi rimedio, ad esempio, attraverso meccanismi di rimborso a seguito di verifica del fatto economico (prova dell’uscita della merce dal territorio UE).
Il caso sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia coinvolge una società ungherese alla quale l’Amministrazione finanziaria, in sede di verifica, disconosce il diritto di qualificare alcune operazioni come cessione all’esportazione (operazione “esente” nella terminologia europea, trasposta come “non imponibile” nella terminologia interna) sulla base del fatto che la spedizione delle merci verso i Paesi terzi era avvenuta dopo il decorso del termine dei 90 giorni previsto dalla legislazione nazionale .
Più nel dettaglio, nel corso degli anni 2007 e 2008 la Società operava nel commercio all’ingrosso di conserve, e nell’ambito della propria attività, vendeva in Paesi terzi i prodotti che fabbricava in Ungheria. I contratti conclusi con gli acquirenti stabiliti al di fuori del territorio dell’Unione contenevano la clausola “franco fabbrica” (“ex-works” o EXW), che presuppone che l’acquirente ritiri la merce all’uscita dei locali del venditore.
L’Amministrazione finanziaria ungherese procedeva contestando alla Società cedente la mancata uscita dei beni dal territorio comunitario nel termine dei 90 giorni previsto dalla normativa interna.
La Corte di Giustizia sottolinea che la disciplina comunitaria non prevede una condizione in base alla quale il bene destinato all’esportazione deve aver lasciato il territorio dell’UE entro un termine preciso affinché l’esenzione divenga applicabile.
La Direttiva consente agli Stati membri di “condizionare” le esenzioni a determinati vincoli imposti per assicurare la loro corretta applicazione e prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso, ma gli Stati membri devono, rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto, di proporzionalità e di tutela del legittimo affidamento.
Sulla base di tali argomentazioni giuridiche, le Corte stabilisce che una disposizione nazionale che assoggetta l’esenzione all’esportazione a un termine di uscita senza consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione di uscita è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine, e senza prevedere un diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA già corrisposta in ragione del mancato rispetto del termine, eccede quanto necessario per il conseguimento dell’obiettivo di contrasto a fenomeni di abuso.
La pronuncia in commento, se letta in relazione alla normativa italiana, pone dei dubbi circa la legittimità della disposizione prevista per le cessioni all’esportazione c.d. “improprie”, ovvero le cessioni di beni nei confronti di cessionari operatori economici non residenti, consegnati in Italia e spediti o trasportati fuori dal territorio UE a cura o per conto del cessionario stesso. Per esse la non imponibilità (esenzione nella terminologia europea) è ammessa solo se l’uscita fisica delle merci dal territorio UE è eseguita entro 90 giorni dalla consegna dei beni al cessionario non residente.
Non pare infatti del tutto aderente allo spirito del sistema IVA, letto alla luce dei principi di neutralità fiscale, di certezza del diritto e di proporzionalità, il riqualificare in modo per così dire “automatico” una operazione “non imponibile” in una operazione “imponibile” solo al superamento del termine dei 90 giorni.
Tale termine deve infatti assumere natura di “termine tecnico” al cui decorso può comunque porsi rimedio, ad esempio, attraverso meccanismi di rimborso a seguito di verifica del fatto economico, ossia la prova dell’uscita della merce dal territorio comunitario.