Sulle rimanenze l’Agenzia persevera nell’errore
di Sergio Pellegrino
In occasione di Telefisco l’Agenzia ha, purtroppo, confermato la “bontà” delle conclusioni raggiunte dalla risoluzione n. 78/E del 2013 in materia di valutazione da un punto di vista fiscale delle rimanenze di magazzino.
Partendo da una improbabile domanda – “Si chiede conferma che, per coerenza, gli eventuali maggiori valori che, per qualunque motivo, fossero imputati in aumento dell’onere sostenuto per l’acquisto di beni merce, valutati a costo specifico, sono da considerarsi a loro volta fiscalmente neutrali” – le Entrate colgono l’occasione per ribadire la posizione assunta circa il rilievo da riservare ai minori (o maggiori) valori attribuiti alle rimanenze valutate a costo specifico.
Innanzitutto, l’eventuale minor valore attribuito civilisticamente non può essere riconosciuto da un punto di vista fiscale, in considerazione del fatto che l’articolo 92 del Tuir, pur assumendo i criteri di valutazione adottati in bilancio, imporrebbe un valore minimo rappresentato dal costo. Secondo questa interpretazione, la norma consentirebbe quindi di riconoscere la “svalutazione” operata soltanto per quei beni fungibili per i quali vengono utilizzati i criteri alternativi di valutazione delle rimanenze, ossia il metodo lifo, il fifo o il costo medio ponderato. Soltanto per questi, infatti, la disposizione del quinto comma dell’articolo 92 legittimerebbe in modo esplicito il riconoscimento del minor valore derivante dal processo valutativo.
Secondo l’Agenzia il ragionamento non farebbe una “grinza” atteso che “i fenomeni di natura valutativa sono accolti in via del tutto eccezionale in sede di determinazione del reddito imponibile” e che per i soggetti Ias-adopter il decreto 8 giugno 2011 ha disposto l’irrilevanza fiscale dei “maggiori o minori valori da valutazione degli immobili classificati ai sensi dello IAS 2”.
Per quanto riguarda la prima osservazione, va rammentato che, ad onor del vero, ci sarebbe pur sempre il principio di derivazione della base imponibile del reddito d’impresa dalle risultanze di bilancio, di cui sembra dimenticarsi l’Agenzia: se il minor valore è riconosciuto civilisticamente, anzi vi è l’obbligo di procedere alla sua rilevazione se vi è stata una perdita di valore, non si vede cosa possa impedire che questo minor valore risulti acquisito anche da un punto di vista fiscale, atteso che non vi è una norma nel Testo Unico che lo impedisca.
Anche da un punto di vista logico appare irragionevole che la perdita di valore sia riconosciuta fiscalmente quando essa deriva da una valutazione di tipo forfettario, e quindi per definizione approssimativa, e non lo sia invece quando la valutazione è basata sul costo specifico, e dunque la perdita di valore può essere “dimostrata”.
Per quanto concerne invece l’accostamento con i soggetti IAS-adopter, sfugge davvero il senso di un ragionamento di questo tipo, peraltro già espresso nella risoluzione n. 78/E, atteso che i due “mondi” debbono essere considerati distinti ed indipendenti fra loro (e se così non fosse non si capirebbe la necessità di avere un corpo di disposizioni che governa la determinazione del reddito d’impresa differenziato per i due ambiti).
Per questioni di “coerenza”, l’Agenzia indica come, parimenti, siano irrilevanti fiscalmente i maggiori valori attribuiti alle rimanenze di beni valutati a costo specifico.
Ora, non si capisce bene a quali maggiori valori faccia riferimento l’Agenzia, considerato che il nostro sistema contabile è a valori storici, valori che possono, anzi debbono, essere rivisti “al ribasso”, quando vi è appunto una perdita di valore, ma non “al rialzo”, essendo il plusvalore frutto di una valutazione e non essendo realizzato.
Sembra quindi che il riferimento al (mancato) riconoscimento fiscale dei maggiori valori interessi poco alle stesse Entrate, apparendo strumentale a riaffermare con forza ciò che invece preme davvero, ossia negare la possibilità di dedurre le perdite di valore dei beni merce valutati a costo specifico … immobili compresi.
A nostro avviso la posizione dell’Agenzia non è corretta e siamo dell’idea che un’affermazione sbagliata, anche se ripetuta all’infinito, non per questo diventa condivisibile.