Occhio alla sponsorizzazione
di Niccolò Di Bella
Il tema delle “sponsorizzazioni” è certamente ampio e variegato, e meriterebbe un’attenta disamina non solo e non tanto per i riflessi che le stesse generano in ambito tributario, ma sopratutto perché è grazie a queste tipologie di elargizioni che vivono (o sopravvivono…) numerose realtà legate al c.d. “terzo settore“, in larga misura appartenenti al mondo sportivo (Associazioni/Società Sportive Dilettantistiche).
Chi amministra o presta la propria opera in favore di associazioni sportive dilettantistiche è ben consapevole delle difficoltà che in questi anni registra il fund raising, ovvero quell’attività di ricerca di risorse economiche fondamentali alla prosecuzione delle attività sociali; d’altronde, è cosa nota che le imprese, in momenti di vacche magre come quelli che stanno vivendo, tendono a ridurre in primis le spese di pubblicità (e, ci sia consentita una battuta, anche quelle dei consulenti fiscali…), tra le quali – ai sensi dell’art.108 del TUIR – possono essere ricondotte anche le spese di sponsorizzazione, così come espressamente confermato anche dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con la Risoluzione del 17 giugno 1992 n.9/204.
Ricordiamo brevemente che per “sponsorizzazione” si intende un contratto a prestazioni corrispettive con il quale una parte (lo sponsor) si impegna, dietro il pagamento di un corrispettivo, ad affiancare pro-tempore il nome della sponsorizzata al proprio, nel corso di manifestazioni di vario genere. La riconduzione a spese di pubblicità deriva proprio dai benefici che la sponsorizzazione può apportare alle vendite o alla immagine dello sponsor.
Venendo ai “tasti dolenti”, sono molteplici le contestazioni che l’Amministra Finanziaria solleva nel tentativo di disconoscere la deduzione dal reddito di impresa di tali somme.
Le più frequenti sono generalmente tre:
- la ridefinizione della sponsorizzazione quale “erogazione liberale”;
- la non inerenza con l’attività esercitata dal contribuente accertato;
- l’anti-economicità della stessa.
Con riferimento alla prima delle contestazioni sopra citate, possiamo affermare che mentre le “erogazioni liberali” debbono sottostare alle disposizioni contenute nell’art. 100 del TUIR, le spese di sponsorizzazioni rientrano a pieno titolo tra le spese di pubblicità, le quali, diversamente, sono richiamate dalle disposizioni ex art. 109 del medesimo Testo Unico; in tal senso, ha avuto modo di esprimersi lo stesso Ministero delle Economia e delle Finanze con la Risoluzione 17 giugno 1992 n.9/204.
Circa la non inerenza con l’attività esercitata dal contribuente, viene in soccorso di quest’ultimo la Legge del 27 dicembre 2002 n.289, in base alla quale le spese di sponsorizzazione rientrano a pieno titolo tra le spese di pubblicità e propaganda qualora sostenute in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché da associazioni sportive dilettantistiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva (ad esempio il CONI). Tale norma pone come limite alla deducibilità il fatto che la sponsorizzazione sia di importo non superiore ad € 200.000, rendendo quelle inferiori a tale ammontare – per presunzione legale – inerenti all’attività di impresa e pertanto deducibili dal relativo reddito (in proposito, si veda la recente CTP di Mantova del 12/08/2013 n.170).
Assai più insidioso risulta il rilievo circa l’anti-economicità dell’operazione, che nasce da considerazioni legate alla “sproporzione” della spesa effettuata con la tipologia di attività dello sponsor e con i benefici, in termini di ricavi o di notorietà, che possono derivarne. Sul punto giova rammentare che la Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio di diritto in base al quale “…sul piano dell’inerenza..ai fini impositivi rileva tendenzialmente il profilo della qualità del costo piuttosto che quello della quantità, proprio perché l’ordinamento riconosce all’imprenditore la libertà di impostare la sua strategia di impresa: orbene appurata l’inerenza del costo, è abbastanza difficile poter stabilire in quale misura esso sia deducibile o meno” (così nelle Sentenze Cass. 1821/2001 e 10802/2002).
Per concludere, occorre sottolineare che gli spunti sopra citati rappresentano utili strumenti quando ci si trova a difendere delle sponsorizzazioni “regolari”, mentre sarà assai più difficile sostenere l’inerenza e – soprattutto – la congruità di quelle nate con tutte altre (ben note, e meno nobili) finalità…